Quei 3.600 partiti da Mereto di Tomba

Storia e memoria dell’emigrazione: “In lontano suolo a guadagnarsi un incerto pane”
Di Ido Cibischino

UDINE. Dal 1878 agli anni Sessanta del Novecento sono stati 3.587 gli abitanti del comune di Mereto di Tomba che emigrarono a cercare condizioni di vita migliori: partiti per sempre, e quindi diventati cittadini di nuove patrie, o per permanenze più o meno lunghe dalle quali trarre le risorse per le loro famiglie e per un progresso generale che nel nostro Friuli ha avuto proprio nelle rimesse dei lavoratori all’estero uno dei supporti più solidi. Quei 3.587 nomi (con paese di provenienza, professione e destinazione) sono elencati in 300 delle 566 pagine che compongono il ponderoso volume In lontano suolo a guadagnarsi un incerto pane. Emigrants dal Friul di Mieç, edito dall’associazione culturale La Grame e firmato da Javier P. Grossutti (ricercatore e studioso, è uno dei maggiori esperti di emigrazione friulana e italiana) e da Corinna Mestroni.

Un lavoro fatto con impegno, su fonti e documenti locali ma anche con ricerche internazionali, che rimarrà pietra miliare di identità e memoria nella storia di Mereto, Pantianicco, Plasencis, San Marco, Savalons e Tomba, le cui famiglie trovano nella pubblicazione un aggancio, un nome e un ricordo. Anzi, proprio la popolazione ha fornito agli autori stimoli e materiale, così che il libro acquista ulteriore pregio come opera collettiva e condivisa. Non c’è ondata migratoria friulana, non c’è destinazione nel mondo che non abbia interessato in quasi cent’anni la gente del comune di Mereto, solida nel lavoro e nei valori, e unita quando si è trattato di ricreare lontano un tessuto sociale di rapporti e di solidarietà che duplicasse la comunità d’origine. Le mete sono conosciute: le Germanie per fornaciai e muratori (nel 1900 erano via 500 lavoratori su 3.500 abitanti); Brasile e soprattutto Argentina richiamarono famiglie intere di contadini nelle colonie di Jesus Maria e Sunchales, mentre i “generici” di Pantianicco, sulla scia del pioniere Luigi Della Picca, trovarono a Buenos Aires uno sbocco professionale come infermieri: formati dai corsi medici dell’ospedale italiano della capitale, si segnalarono per capacità e dedizione. Sono gli anni in cui l’emigrazione coinvolge anche le donne: tra gli anni Venti e Trenta ne partirono a centinaia per unirsi a familiari e parenti. La Francia, per la ricostruzione e l’attività estrattiva nei centri minerari, attrae dopo la prima guerra mondiale, e resta meta europea privilegiata assieme al Belgio (miniere di carbone) pure dopo il secondo conflitto. Dal 1946 le destinazioni transoceaniche puntano su Canada, Venezuela, ancora Argentina (qui si fa sempre leva sulla fitta rete di rapporti parentali) e Australia. Le ultime partenze – e siamo negli anni 50-60 – sono stagionali soprattutto verso Svizzera e Lussemburgo, secondo l’immutabile schema friulano: guadagnare, risparmiare, investire nel proprio paese. (i.c.)

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