Quando il Venezuela era una speranza

«Il Venezuela è un paese di sicuro avvenire. Le ricchezze del suo sottosuolo (petrolio e ferro)come pure le vaste estensioni di terre fertili non ancora messe a coltura, daranno alla sua economia uno...

«Il Venezuela è un paese di sicuro avvenire. Le ricchezze del suo sottosuolo (petrolio e ferro)come pure le vaste estensioni di terre fertili non ancora messe a coltura, daranno alla sua economia uno sviluppo sempre maggiore». Non sono parole che nascono dalla drammatica tempesta sociale che avvolge il paese sud-americano in questi giorni. Sono al contrario parole di una stagione felice quando, soprattutto dall’Italia si guardava a questa terra scoperta dal genovese Cristoforo Colombo, il primo agosto 1498, in occasione del suo terzo viaggio,quando approdò nel golfo di Paria,sul grande fiume Orinoco. In quel luogo Colombo ebbe precisa la sensazione di avere toccato non la Cina, ma un nuovo continente. Sulla imboccatura del lago di Maracaibo colpito dalle case c sulle palafitte esclamò: «Come a Venezia». E piccola Venezia fu battezzata in spagnolo Venezuela.

In un piccolo aureo libro “Guida per chi emigra in Venezuela” edizione Italiani nel mondo, Roma,1954 offerto gratuitamente dalla Società di Navigazione “Italia”, si trovano tutte le istruzioni che l’emigrante doveva conoscere per affrontare le difficoltà di una traversata che durava all’incirca 15 giorni. Dai maggiori porti italiani collegati con gli uffici consolari di Roma, Milano, Genova e Napoli l’organizzazione, si direbbe oggi “logistica”, cercava di tutelare migliaia di nostri emigranti. Un’umanità dolente,tantissimi friulani, con valigie di cartone spesso. Si apprende dal libretto che occorreva anche il certificato di battesimo, oltre a quello penale: bisognava presentarsi nelle città sedi consolari 4 giorni prima dell’imbarco con 3 foto, per ottenere il visto gratuito. Il paese si presentava ricco di materie prime oltre a cacao,legname, zootecnia. Per le esportazioni di petrolio le riserve auree del Venezuela erano superiori a quelle di tutte le altre nazioni sudamericane. Chi nasceva in quella terra era cittadino venezuelano (ius soli garantito!)

Dal porto di Genova i friulani che lasciavano le banchine erano migliaia. Giuseppe Chivilò detto Bepi Massac di Spilimbergo partì subito dopo la guerra. Negli anni cinquanta lo raggiunse il figlio Sandro di 23 anni. Dopo pochi mesi il giovane nel tentativo di strappare un compagno di lavoro ai fili della corrente tragicamente morì. La bara mestamente ingabbiata nella rete di una gru calò sullo stesso molo dal quale, ricco di speranze, era partito.

Arturo M. di Tauriano, aitante come sono i giovani friulani, attese in Venezuela la bella moglie che, sposata per procura,(la festa di nozze era bella e sontuosa anche se lo sposo era assente) arrivò nel fulgore delle giovinezza. Non andavano d’accordo. Arturo si lasciò andare al “bevi”. Guido Filipuzzi intelligente terrazziere di Provesano trovava sempre ad aspettarlo a Genova la devota ed elegante moglie Sandrina. Guido si sbracciava dalla nave con un vestito sgargiante azzurro americano, poco in uso in Italia. La moglie sussurrò alla compagna di scuola Chiara Donda che sempre la ospitava a Genova. “Viot se color di vistit ca l’ha mitût su»(Guarda che colore di vestito!). Qualcuno tornava con i soldi per costruire la casa. Altri più ricchi, si sapeva, si davano al malaffare. Un imprenditore edile finito l’appalto scappava senza pagare i manovali locali che per obbligo di legge dovevano essere il 75% del personale. La moneta, un bolivar, valeva 187 lire. Ora l’inflazione è al 1600 per cento. Undicimila bambini sono morti di malattie e di fame nell’ultimo anno. Il Venezuela del benessere è ormai racchiuso in un piccolo libro di ricordi.

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