Alessandro Barbero: «La scrittura romanzesca richiede l’invenzione»
Lo storico e divulgatore parlerà delle rivolte popolari: «Così si intrecciano lotta di classe, pulsioni e intrighi»

Nel 2023 gli è stato conferito il dottorato di ricerca ad honorem dall’Università di San Marino e nel 2024 il diploma della scuola di archivistica e paleografia ad honorem dall’Archivio di Stato di Firenze. Alessandro Barbero è lo storico più gettonato d’Italia. Scrive romanzi spesso anche storici, libri storici divulgativi, opere di ampia ricerca storiografica. Folle lo ascoltano. Il suo modo di raccontare affascina.
Giovedì 29 maggio sarà ospite a Udine, all’università in via Tomadini, alle 18, in una conferenza sold out (ma, come a teatro, se qualcuno non si presenta, i posti vengono riassegnati con precedenza ai soci UniPopUd). L’evento si potrà seguire anche in diretta streaming al seguente indirizzo: www.youtube.com/live/JEi4mGnZddE
È stato invitato da Francesca Medioli, presidente dell’Università Popolare di Udine, l’associazione di stampo socialista che dal 1901 invita i grandi personaggi della cultura in città. Francesca Medioli e Andrea Zannini, due storici, dialogheranno con Barbero, il tema sono le rivolte popolari.
Professore, lei è da poco sulla Treccani, tra i neologismi, con la voce “barberismo”. Vogliamo commentare? Il successo la infastidisce, le piace? Qual è il segreto secondo lei di questo fenomeno … ora pure “lessicale”?
«Beh, distinguerei. .. Il successo non mi infastidisce affatto, ci mancherebbe! , e anche essere fermato per la strada da ragazzi a cui brillano gli occhi perché mi hanno incontrato mi allarga il cuore, bisognerebbe essere dei mostri per non apprezzarlo. Il “barberismo” è un’altra cosa, a dire tutta la verità mi sembra che si sia fatto anche troppo chiasso su questa sciocchezza, anche perché io prima che ne parlasse la Treccani questa parola non l’avevo mai sentita...».
Lei è uno scrittore prima che brillante divulgatore. Cosa le piace del narrare su carta?
«Diciamo che chi fa lo storico è abituato a scrivere, la storia si comunica scrivendo e uno storico deve saper maneggiare la lingua; ma si può scrivere in tanti modi e per uno come me che ama fare cose diverse e non ripetere sempre la stessa cosa la scrittura romanzesca, che autorizza e anzi richiede l’invenzione, è una variante interessante rispetto alla scrittura storica».
Qual è il libro dei suoi che ha più caro?
«In genere a questa domanda si risponde “l’ultimo” , e bisognerebbe rispondere sempre così, perché mentre ne stai scrivendo uno, di tutti gli altri non ti importa più niente».
Pochi giorni fa a Torino al Salone, in un facondo dialogo con Anna Foa, il vostro centro era il dialogo sulle parole fondamentali. Qual è la parola che oggi ritiene fondamentale per descrivere l’Italia di oggi?
«Questa è una domanda che in una o l’altra variante si incontra spessissimo, ma io non so mai rispondere. Le parole sono fatte per interagire, una sola parola non significa mai niente».
Quale quella che vorrebbe ridefinire e spiegare meglio per regalarla ai giovani?
«I giovani ne sanno più di noi. Devono affrontare un compito che alla mia generazione non è toccato: imparare a vivere in un mondo da cui sono sparite le idee di benessere, di progresso e di futuro. Io spero che saranno loro a insegnarci che cosa vuol dire davvero democrazia, libertà, pace».
A Udine parlerà di rivolte popolari. Famosa da queste parti è la cosiddetta Zobia Grassa del 1511. Lei come la interpreta?
«Io non sono uno specialista della “crudel Zobia Grassa” , ma in molte rivolte popolari si intrecciano la lotta di classe, cioè la diagnosi lucida dei motivi per cui la società è sbagliata e bisognerebbe cambiarla; gli intrighi della politica, da cui i rivoltosi sono qualche volta manovrati; e pulsioni profonde connesse al calendario e al ruolo della festa nella psicologia».
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