Quando i titini se la presero con il capo garibaldino: «Sciovinista italiano»

Il 20 maggio del 1945 Vanni Padoan arriva a Trieste. Quando parla del futuro della città gli altoparlanti tacciono

«S’intaglia ora contro la parete del Municipio la figura del compagno commissario “Vanni” della divisione Natisone. Le sue parole sicure volano verso il cielo...».

È il 20 maggio 1945, Giovanni Padoan, commissario della “Garibaldi” e vice del raggruppamento “Friuli”, arriva a Trieste, accolto con fraterno entusiasmo dalle autorità militari jugoslave, che governano la città dopo la cacciata dei nazisti dall’Adriatisches Kuestenland.

Il quotidiano “Il Nostro Avvenire” annuncia con titolo a piena pagina l’arrivo delle “Brigate partigiane italiane dell’Armata di Tito”. Esalta la “fusione di spiriti tra garibaldini e popolo”, e descrive il trasporto della folla con in testa le immancabili “ragazze di Trieste”.

«Spuntano! Sono 13 carri armati e autoblinde e su di essi spiccano le figure dei garibaldini. Portano il tradizionale fazzoletto rosso e il tradizionale berretto. Le ragazze, le donne di Trieste hanno cosparso di fiori i baldi ragazzi, essi, con la chiarezza del loro sorriso riconoscente, rispondevano».

Non manca un accenno alla collaborazione alla Resistenza dalla popolazione civile dell’Oltreisonzo e del circondario: «I contadini dall’Istria e Friuli sottraevano i prodotti del loro sudore alle requisizioni e agli ammassi che sarebbero andati a sfamare i dominatori stranieri cercando invece di far passare quanto più possibile di viveri, di bestiame, di vino, di tabacco greggio, al di là dei fiumi e delle vallate, fin sugli altipiani, dove combattevano i loro fratelli partigiani».

È un momento delicato. Il comandante del teatro di guerra Mediterraneo, Harold Alexander, paragonando i metodi dell’occupazione jugoslava «a quelli hitleriani, mussoliniani e giapponesi», ha lasciato capire che la partita di Trieste Settima Repubblica della Federativa, è tutta da giocare, con prospettive sfavorevoli.

Tito attende, dai compagni di fede e di lotta italiani, una parola a sostegno delle sue rivendicazioni. Ma Padoan nel suo intervento, non accenna a nulla del genere. Parla di ricostruzione, di vigilanza contro un possibile ritorno del fascismo, fa affermazioni di maniera: «Questa città e questa regione liberata con il nostro sangue deve diventare il punto dove si realizzerà la fratellanza dei popoli. Evviva la fratellanza italo slovena».

Come ricostruisce lo storico Raoul Pupo di fronte alla richiesta di far precedere la sfilata da una bandiera jugoslava, “Vanni” aveva minacciato di non effettuarla. Poi, quando il suo discorso aveva cominciato a trattare il futuro di Trieste, era mancata l’alimentazione degli altoparlanti. E uno dei più influenti consiglieri politici di Tito, Boris Kraigher (nativo di Cormons, come “Vanni”), aveva scritto al maresciallo mettendolo in guardia contro il compagno Padoan per «una campagna italiana eccezionalmente sciovinista contro di noi».

Per Pupo, malgrado la discriminante statuale, il 20 maggio 1945 è comunque, per i garibaldini, un bagno di folla.

Lo scrittore istriano Pier Antonio Quarantotti Gambini, nel suo “Primavera a Trieste”, descrive invece un clima del tutto diverso. Deplorato il mancato intervento in città dei partigiani italiani («Non possiamo crederlo. Crediamo, vogliamo credere che almeno la “Osoppo” ci correrà in aiuto. Ma una voce, nel fondo della nostra amarezza, ci dice di no: gli italiani, e quelli addirittura che parevano i più consapevoli, saranno assenti»), parla di una totale freddezza cittadina. «Guardano in giro come cercando simpatia. Ma non trovano nulla. La piazza è deserta... “Perché, se sono italiani” ci si domanda “si sono messi con Tito, contro di noi?”».

Qualche giorno più tardi un ordigno esploderà a Villa Segre, dove sono acquarierati i garibaldini, facendo cinque vittime.

E, una dozzina di giorni dopo gli jugoslavi lasceranno Trieste, schierandosi dopo l’appena tracciata “linea Morgan”. Metà del territorio, inclusa l’intera città, diventa la “zona A” di quella che dovrebbe diventare una città-stato, il TlT, provvisoriamente affidato sotto l’amministrazione angloamericana.

E l’anno successivo, a Udine, nasce un quotidiano che deve tenere alta l’italianità dei cittadini della Zona A. Si intitola “Messaggero Veneto”. Ma questa è un’altra storia.—
 

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