Quando 75 anni fa Forni di Sotto fu ridotto in cenere

erminio polo
Settantacinque anni fa, in una calda sera del 26 maggio 1944, una autocolonna forte di 500-600 uomini con tre carri armati, quattro mitragliere e sei pezzi da 88 mm piombava su Forni di Sotto e, dopo essere passati casa per casa a saccheggiare quanto possibile, dopo avere cacciato via donne e bambini (gli uomini erano già fuggiti sui monti), frugato nelle gerle, nelle tasche, nei seni delle donne, tolti gli anelli e le catenine, rubati animali ed oggetti, tedeschi e fascisti incendiavano l’intero paese. Le tre borgate di Vico, Baselia e Tredolo, con le loro bellissime e tipiche case, fotografate dai più illustri fotografi del tempo (Antonelli, Brisighelli, Pellis e Scheuermeier) finivano preda delle fiamme. Era il frutto di una feroce rappresaglia, organizzata dai reparti della Luftwaffe di Spilimbergo, in accordo con gli alti comandi tedeschi della Wehrmacht e delle SS, accompagnati da quanti più miliziani possibile della Repubblica Sociale Italiana raccolti nelle caserme della destra Tagliamento. Forni di Sotto è il terzo paese più distrutto dell’Italia occupata dalle forze tedesche: 500 abitazioni civili, con stalle e fienili, oltre una trentina di stavoli, 1500 abitanti in fuga senza vestiti, senza viveri, senza posate con cui mangiare. Perché quella rappresaglia in quella sera di maggio?
Tutto era incominciato quella stessa mattina quando un grosso armatissimo reparto della Scuola di formazione della contraerea Luftwaffe di stanza a Spilimbergo, nel suo giro di ispezione alla sicurezza delle strade, si era trovato, presso la località di Volte Scure, a tre chilometri da Forni, attaccato da un plotone di partigiani. Erano partigiani organizzati, con poche armi, ma ormai soldati pienamente riconosciuti dal Governo nazionale Italiano e dagli Alleati come forze combattenti contro il nemico tedesco a cui lo Stato legittimo aveva dichiarato guerra fin dal 16 ottobre 1943. Erano partigiani comandati dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia ad attaccare ove e come più possibile le forze tedesche. Una mina piazzata sulla strada aveva fatto saltare la jeep del capitano Walter Purnhagen, con un sottufficiale e l’autista nella scarpata. Nella sparatoria seguita all’attentato, erano caduti altri otto soldati tedeschi ed un partigiano. Il reparto della Luftwaffe era tornato precipitosamente indietro ed il comandante della piazza di Spilimbergo, Sepp Prentl, responsabile del reparto della Flak-Erdkampfschule Süd tedesca, aveva organizzato immediatamente la spedizione punitiva da attuarsi la sera stessa. La vallata rintronò di cannonate, mitragliamenti, pallottole incendiarie. Le case potevano ardere bene perché avevano i tetti di legno, i ballatoi esterni di legno, le stalle ed i fienili addossati, le cataste di legna per l’inverno. Le fiamme salirono dalla borgata di Vico, da quella di Baselia, da quella di Tredolo e si unirono in un grande vortice di fuoco e di cenere nel cielo di quella sera: un inferno, così scrisse don Gildo de Santa, cappellano di Forni di Sopra, venuto quella sera stessa a vedere cosa succedeva.
La gente tornò in paese dai nascondigli e dai ricoveri provvisori sulle montagne la mattina dopo e non trovò più nulla. Nulla. Tutto in cenere. Vennero gli aiuti subito dai partigiani stessi (coperte, vestiti e una cassa di libri, «per una futura biblioteca» era scritto sul biglietto). Poi vennero gli aiuti dell’intera Diocesi, sollecitati dal Vescovo monsignor Nogara. Ma la gente, per mangiare, dovette andare a cercare la carità nei paesi del Friuli, del Veneto, con le gerle, con i sacchi, con gli zoccoli o a piedi nudi.
Il paese di Forni di Sotto, l’intero paese è stato, in questi anni, ricostruito dalla testardaggine e dagli sforzi di tutta la sua gente. Questa gente è rimasta tra le sue montagne, nella sua vallata, a resistere e a ricostruire. Tedeschi e fascisti volevano cancellare dalla storia e dalla geografia quel puntino dell’Adriatisches Küstenland, quel paesino del Friuli, ma non ce l’hanno fatta. Forni è risorto da quelle ceneri. È vero però che oggi Forni di Sotto ha solo 560 abitanti e oltre mille hanno lasciato il paese per emigrare, per lavorare all’estero, per guadagnare un tozzo di pane e mandare i risparmi e ricostruire le case sui muri affumicati e poi abbellirle con coraggio e buona volontà. Molte case oggi sono vuote. Testardi, ma resistenti i fornesi di Sotto. Anche questo paese e questa tragica vicenda, una delle tante della seconda guerra mondiale, provocate dal male assoluto di nazismo e fascismo, appartengono alla storia ed alla forza di un popolo che ha voluto ritrovare e riaffermare la sua dignità e la sua libertà in faccia al mondo.
Il drago di un incendio immane ha ingoiato nelle sue fauci storie umane e passioni, cuori ed emozioni, vita vissuta e condivisa, intelligenza e libertà.
Da quelle cenere è uscito un paese nuovo, con l’umanità ed i valori antichi e perenni della vita.
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