Pusea, 1903: in Carnia arriva la luce

La prima pionieristica illuminazione grazie all’ingegno di un imprenditore. Una storia d’altri tempi raccontata in un documentario da tre filmaker udinesi

Elena Grassi
Una scena del documentario “Pusea: la prima luce della Carnia”, presentato recentemente al festival di Treviso
Una scena del documentario “Pusea: la prima luce della Carnia”, presentato recentemente al festival di Treviso

Nel 1903, quasi cinquant’anni prima della sua effettiva diffusione in Carnia, Pusea Frazione di verzegnis) è stata la prima borgata a conoscere la corrente elettrica grazie all’ingegno di “Giuan di Tonia” storico proprietario della segheria locale. È una storia d’altri tempi, quasi leggendaria, ma a rischio d’estinzione (così come si è estinta la popolazione di Pusea), quella che tre giovani filmmakers udinesi, Alessandro Galliera, Mike Tessari e Matteo Cicuttini Ruffo, hanno voluto salvare, raccontandola nel loro bellissimo documentario “Pusea: la prima luce della Carnia”.

L’opera è stata accolta con grande entusiasmo dal pubblico dell’Edera Film Festival, svoltosi dal 29 luglio al 2 agosto scorsi a Treviso, dove Galliera ha raccontato il lungo lavoro di ricerca sia documentale, con straordinarie foto d’epoca, sia testimoniale, con le interviste ai discendenti di “Giuan di Tonia” e a chi ha vissuto la trasformazione del territorio.

«Pusea è il mio luogo del cuore perché fin da piccolo ci passavo il Ferragosto con la mia famiglia – svela Galliera – e il primo personaggio che si vede intervistato, Pierino Malisani, è il santolo di mia mamma e colui che mi ha fatto scoprire il paese e la storia della corrente elettrica a Pusea, uscita per caso tra i discorsi ma meritevole di essere immortalata. Noi la consideriamo un manifesto dell’ingegno della gente di montagna, e al contempo un racconto intimo, di famiglia, quella di Giovanni Deotto, o “Giuan di Tonia”, come viene ricordato nella valle, noto non solo per la sua segheria, ma per essere anche un orologiaio e il riparatore delle fisarmoniche della banda del paese.

Un uomo geniale, che all’inizio del secolo scorso ha pensato di abbinare alla turbina ad acqua, attraverso la quale azionava tutti i macchinari della segheria, una dinamo, facendo arrivare, per la prima volta in Carnia, la luce. E’ il Tesla friulano, che, come il grande inventore, aveva il sogno di vedere la corrente elettrica diventare un bene dell’umanità».

Immagini di struggente bellezza dai droni che mimano un volo d’uccello sui colori cangianti delle stagioni a Pusea, si alternano alle preziose immagini fotografiche dell’archivio privato del fotografo Brunino Deotto, uno scrigno della memoria su cui è tessuto il tappeto sonoro intrecciato con le voci degli intervistati.

«Tra le testimonianze più emozionanti – continua Galliera – c’è quella di Giorgio Deotto, ex abitante del borgo, che racconta con commozione, attraverso gli occhi di lui bambino, la vita di Pusea, il lavoro con suo padre all’officina di “Vigi da lus”, Luigi della luce, e lo spopolamento conseguente alla costruzione della diga di Verzegnis da parte della Sade. A questa fu abbinata la centrale elettrica di Somplago, che fornì energia a tutta la Carnia, facendo perdere a Pusea il vantaggio economico di essere l’unico borgo avente la luce».

Al suo intervento si aggiunge quello di Miranda Deotto, che ricorda la diffusione dell’elettricità nella municipalità di Verzegnis prima dell'arrivo della Sade, e il contributo delle voci di Pierino Malisani e Ivano Vosca, per accompagnare lo spettatore nella loro riscoperta del borgo e della sua storia, spiegando poi la loro decisione di restaurare la segheria di Pusea per vederla funzionare una volta ancora.

«Oggi Pusea è un ameno luogo per pochi villeggianti, udinesi e triestini, che qui hanno case vacanze – chiude Galliera – non ci sono al momento politiche di ripopolamento, ma insiste la vecchia idea di trasformare la segheria in un museo pubblico. Prima dell’Edera Film Festival il documentario è stato presentato al Nuovi Mondi Festival di Biella e proiettato per i cittadini di Verzegnis al fine di sensibilizzarli al nostro lavoro e invitarli a darci nuove testimonianze per arricchirlo. Abbiamo provato a portare questa storia al pubblico per come l’abbiamo vissuta noi, sedendoci al tavolo con queste persone, che ci hanno aperto il cuore e la loro memoria». 

 

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