A Pordenone tornano le giornate del Muto: «Il cinema è un linguaggio vivo»

Gli home movies di Charlie Chaplin: filmati privati a colori con l’attore mentre passeggia a Torcello con la moglie

Cristina Savi

 

Da oltre quarant’anni Pordenone ospita uno degli appuntamenti più prestigiosi del panorama internazionale: le Giornate del Cinema Muto. Da sabato prossimo all’11 ottobre l’edizione 44 porterà nel Teatro Verdi e online un programma che intreccia grandi classici restaurati e riscoperte sorprendenti, con anteprime mondiali e rarità dagli archivi di tutto il mondo. A guidare questa macchina del tempo da 10 anni c’è Jay Weissberg.

Lei ha detto che il cinema muto non va visto come reliquia, ma come linguaggio vivo e moderno. Come trasmettere questa vitalità a un pubblico oggi abituato a immagini così diverse?

«Dobbiamo sempre lottare contro l’idea che sia il cinema muto sia “polveroso”. Quest’anno ho voluto farlo mostrando come i film dialoghino con l’attualità: penso alle commedie ucraine degli anni Venti o ai cinegiornali girati in Palestina durante la Prima guerra mondiale, immagini che sembrano parlare direttamente a noi. Sono esempi di come il passato è sempre presente: se impariamo a leggerlo, ci aiuta a capire meglio il nostro tempo».

L’immagine scelta dal festival, Dorothy Mackaill in The Man Who Came Back, racconta caduta e rinascita. Che riflesso vede con un presente segnato da crisi collettive?

«Il messaggio è che non siamo mai davvero perduti. Negli ultimi anni mi sono sentito spesso paralizzato dalle tragedie intorno a noi, ma questo film invita a liberare la strada da ciò che la ingombra e a trovare un modo per andare avanti. È una lezione di resilienza».

Il festival alterna durezza (guerre, colonialismo, crisi) e leggerezza (comicità). Come bilancia queste due anime?

«L’anno scorso molti specialisti hanno parlato di un programma eccezionale, ma non era semplice per il pubblico meno esperto. Quest’anno ho cercato un equilibrio diverso, per esempio con Chaplin e i cartoni di Max Fleischer: per aprire a tutti, senza rinunciare alla qualità».

“Sei gradi di Chaplin” è una delle rassegne più attese. Che cosa sorprenderà il pubblico?

«Grazie alla famiglia Chaplin presentiamo i suoi home movies, filmati privati meravigliosi, anche degli anni ’50 a colori, lui che balla in giardino o passeggia a Torcello con la moglie. Mostrano un Chaplin intimo, ancora pieno di energia. E siamo molto orgogliosi di presentare l’anteprima mondiale del restauro MoMA di Shoulder Arms, il suo film antimilitarista».

Fra gli omaggi c’è quello a Italia Almirante Manzini, diva amatissima e oggi dimenticata.

«Era una star alla pari di Francesca Bertini, ma anche un’attrice di grande talento, con solide basi teatrali. Dopo la Prima guerra mondiale il cinema italiano entrò in crisi, ma non significa che i film degli anni Venti fossero mediocri: molti sono stati dimenticati o nascosti in archivi stranieri. Riproporla significa restituire dignità a una storia spesso scritta male. “Zingari” ne è un esempio: una produzione imponente e sorprendente».

Anche i cartoni di Max Fleischer con KoKo il Clown, presentati dalla nipote Jane Fleischer Reid, sembrano un piccolo evento. Quanto conta il rapporto diretto con le famiglie dei pionieri?

«È sempre emozionante. Jane è stata entusiasta e collaborativa: anche per lei è stata una scoperta, perché conosceva poco del lavoro del nonno nel periodo muto.

Tra i classici restaurati ci sono Gance, Feuillade, Tourneur, Lang. Come renderli vivi e non “museali”?

La musica è decisiva e noi abbiamo la fortuna di avere grandi orchestre e grandi musicisti con noi. Non si tratta di riprodurre le partiture d’epoca, ma di creare dialoghi nuovi. La colonna sonora giusta fa vibrare il presente dentro le immagini.

Pordenone non è una metropoli, eppure da oltre 40 anni è il cuore mondiale del cinema muto. Qual è il segreto?

«L’accoglienza. Tutto è vicino, dal teatro ai caffè. Un festival non è solo sala, è anche la possibilità di passeggiare, prendere un aperitivo, sentirsi parte di una comunità. Pordenone questo lo sa offrire». —

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