Pietro Giacomo Nonis, il vescovo collezionista: al Museo diocesano una mostra tra fede, arte e ironia

Tra aneddoti, scoperte antiquarie e doni oggi preziose testimonianze nei musei di Pordenone, Vicenza e Montegalda.

*fulvio Dell'Agnese

Il Museo diocesano di Pordenone ospita fino all’11 gennaio 2026 una mostra dedicata a monsignor Pietro Giacomo Nonis (1927-2014).

A quale Nonis? Al giovane seminarista arrivato dalle campagne di Fossalta, all’intellettuale, o al sacerdote di cui si attendeva l’omelia domenicale in duomo a Pordenone? Al vescovo di Vicenza, al docente universitario o all’autore di tanti testi d’affilata ironia?

In realtà l’esposizione “Pietro Giacomo Nonis. Vivere il proprio tempo nella fede e nell’arte” riguarda tutte queste declinazioni della sua personalità, egualmente toccate da un pervasivo amore per l’arte.

Sono così in mostra diverse opere pittoriche di autori del ‘700 e ‘800 quali Nicola Grassi, Michelangelo Grigoletti, Giuseppe Tominz, che durante gli anni Sessanta egli si impegnò a fare acquisire dal Comune di Pordenone per il costituendo Museo civico; una (la splendida Madonna con il Bambino di Antonio Carneo; 1680 circa) finì per acquistarla lui, vista la ritrosia delle istituzioni nei confronti di un soggetto religioso già presente nelle collezioni, e la donò poi al neonato Museo diocesano di Arte sacra, insieme fra l’altro a un cospicuo nucleo di ex voto: espressione di un’arte popolare che Nonis definiva fatta di «grandi e piccole cose che, come i risparmi depositati negli uffici postali dei paesi spopolati dalla emigrazione, sono reliquia del sudore dei poveri prima d’essere colpo d’ala degli ingegni passati».

Fin dai primi anni Sessanta Nonis era impegnato nella salvaguardia del patrimonio artistico del territorio, affermando a più riprese la necessità di partire da una sua catalogazione per scongiurarne la dispersione; idea all’avanguardia per l’epoca, al pari della convinzione che il futuro Museo civico di Pordenone dovesse dotarsi di un proprio laboratorio di restauro e dovesse prevedere uno spazio per mostre di arte contemporanea, a vantaggio soprattutto dei giovani artisti locali.

Nel frattempo, il sacerdote metteva al sicuro in Seminario non poche delle fragili testimonianze di arte sacra che oggi compaiono in Museo diocesano, dove altre opere – come il San Rocco in legno policromo (inizi secolo XVI) che per primo accoglie il visitatore in mostra – sarebbero giunte più tardi quale dono del Nonis collezionista.

Sì, perché Pietro Nonis visse il proprio amore per l’arte anche nella dimensione di insaziabile curiosità che si traduceva in accumulo; lo rendono visibile nell’allestimento espositivo decine di sculture africane – minima parte delle sue vaste raccolte di carattere etnografico – e una ristretta selezione delle sue collezioni di campane e di icone, conservate rispettivamente nel Museo Veneto delle Campane di Montegalda (VI) e presso il Museo Diocesano di Vicenza a lui intitolato.

Si tratta di opere generalmente scovate sul mercato antiquario, in cui Nonis sapeva muoversi con consumata esperienza e con la sua immancabile ironia, come si può leggere in queste righe di un articolo apparso su “Il Popolo” di domenica 2 aprile 1972: «A volte giri per negozi e magazzini, ore e giorni, e non trovi nulla d’interessante, o nulla che sia alla portata dei tuoi mezzi limitati. Finché viene il giorno della rara fortuna. È quel che è successo alcuni mesi or sono, in una zona del Padovano dove rigattieri e antiquari sono pullulati, nel dopoguerra, come d’incanto: ex contadini o piccoli artigiani hanno cominciato con gli scambi in natura: esportavano dal paesello nebbioso bambole di plastica e seggiole di ferro verso i caldi e assonnati villaggi del Sud, e in cambio si facevano consegnare dagli ignari villici vecchie pentole di rame, bronzini a tre piedi, antichi ferri battuti, quadrati insoffittati, ingenue sculture… E dài e dài, dal camioncino mensile si passava via via all’autocarro quindicinale» e il mestiere si affinava.

«Beh, fra tanta pattumaglia, un giorno apparve una statua: diremo, La Statua. Rara per dimensioni: due metri e mezzo, a dir poco; rara per soggetto: Cristo risorto (quello, datato 1634, che oggi fa bella mostra di sé in Cappella Ricchieri nel Duomo di Pordenone…). Feci un’avance. C’era poco da fare. Prezzo irraggiungibile. Allontanandomi le diedi un pizzicotto sul piedone e dissi sottovoce: “Tieni duro. Ritorneremo”».

E fu di parola. 

*Il curatore della mostra

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