Con Paolo Puppa alla scoperta dei personaggi di Dorsoduro
Mercoledì 19 novembre la presentazione in Biblioteca Joppi a udine: una galleria di ritratti di personaggi veneziani

Dorsoduro e dintorni è il titolo del libro di Paolo Puppa (Cierre edizioni) che sarà presentato oggi, mercoledì 19novembre, alle 18, alla Biblioteca Joppi a Udine, in dialogo con Romano Vecchiet, che qui illustra la pubblicazione.
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Venezia, con la sua storia, i suoi beni culturali, i suoi musei e archivi, ha una bibliografia sterminata che riempie gli scaffali di intere biblioteche. Che senso ha parlarne ancora? Quale spazio inedito e originale si può ritrovare in un territorio già battutissimo e così minuziosamente ispezionato? Eppure c’è chi si è recentemente cimentato per parlare di Venezia (o, meglio, di quel che ne resta) da una prospettiva particolare, quella del lavoro e di chi si ostina a farlo, tra “ciacole” tipicamente veneziane e digressioni dotte e irresistibili.
Si tratta del professor Paolo Puppa, per anni ordinario a Ca’ Foscari di Storia del teatro, ma anche romanziere e godibilissimo saggista, nonché attivo performer teatrale. Ne scaturisce una galleria di personaggi (avvocati, sacerdoti, corniciai, verdurai, maestri vetrai, barbieri, librai, sindacalisti e falegnami...), rappresentanti a volte di professioni un po’ dimenticate, che vivono intensamente la propria città e in particolare il sestiere di Dorsoduro, svelando i segreti del proprio successo professionale, ma al tempo stesso raccontando tanto della città che li ospita, della decadenza che l’invade, del turismo mordi e fuggi che la sta soffocando, dei B&B onnipresenti, del rotolare fastidioso dei trolley, delle edicole tristemente scomparse. Incalzati dalle domande di Paolo Puppa, raccontano le loro vite, i loro controversi rapporti con la “più bella città del mondo”.
Esemplare è il racconto che emerge da uno dei più riusciti di questi ritratti, quello della sindacalista della Cgil, Angiola Tiboni.
Prima il ricordo di quella sede disadorna e invasa «da un fumo collettivo» che ricorda gli ambienti «da ambulatorio di provincia nell’arredo descritto dal pirandelliano L’uomo dal fiore in bocca», poi i «discorsi interminabili» spesso conditi «dal termine rassicurante di “compagno”», che non potevano che annoiare il nostro autore, facendo presto sfiorire la sua militanza politica giovanile. Quello che però non sfiorisce è l’impegno sindacale e politico dell’intervistata, la compagna Tiboni, con la sua incrollabile «intolleranza tribale verso i nemici e la tolleranza complice verso gli amici», in una vita vissuta tra gli ideali marxisti del ’68, tra cui compare un giovane Massimo Cacciari che l’avrebbe aiutata nella compilazione di una tesi di laurea, quasi un pamphlet, sulla città e la rivoluzione industriale, conseguita «con qualche imbarazzo e il 110 senza lode». Un ritratto a suo modo perfetto, anche come ricostruzione di un’epoca, che ha visto di lì a poco la fine di tante illusioni, almeno per alcuni.
Ma in questi 22 capitoli emerge al tempo stesso, sempre vigile, la prepotente personalità dell’autore che, tra approfondimenti e citazioni, ci offre un autoritratto che rivela a intermittenza le tante e ricorrenti ossessioni che lo stanno attraversando: l’incombere della vecchiaia, l’insofferenza per un’inciviltà che sta trasformando irreversibilmente e in negativo Venezia, l’ebraismo ieri ma anche oggi, la carriera universitaria e le indispensabili relazioni tra vita e teatro, gli acciacchi che attraversano un corpo non più nel fiore degli anni, il piacere del cibo, l’insofferenza per le smemoratezze dei suoi interlocutori, soprattutto quando disconoscono (o addirittura tentano di mascherare) le proprie origini o non ricordano la storia delle loro famiglie. Che, a ben guardare, anche se su un altro livello, sono le ossessioni che riguardano la stessa Venezia, sempre lì a difendere la sua autorevolezza e la sua bellezza dall’incedere insidioso del tempo, che tenta di contrastare l’ignoranza, la sciatteria e, appunto, la smemoratezza che inesorabilmente la invade.
Ne emerge una Venezia molto diversa da quella cartolinesca e patinata che siamo abituati a sfogliare, ben più autentica, vissuta dall’interno, nell’umido delle sue calli più nascoste, all’interno delle botteghe più fumose, che Paolo Puppa si ostina ad amare con tanta ironia e profonda amarezza.
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