Palmanova in piazza rivive il 1615 di guerra tra la Serenissima e la Casa d’Austria

Sabato 1 settembre e domenica 2 settembre Palmanova ospiterà la rievocazione storica “A. D. 1615 Palma alle Armi” con mille figuranti in abiti seicenteschi, 42 delegazioni e 12 rappresentanze di altrettanti paesi europei. Si rivivranno i fatti d’arme legati alla fortezza, agli Asburgo, alla Serenissima. Da registrare anche l’iniziativa aperta ai lettori NoiMv, sabato 1 settembre.
Gianfranco Ellero
La Repubblica Veneta conquistò l’intera Patria del Friuli nel 1420: si trattava, come è noto, di una “pelle di leopardo” patriarchina, punteggiata da feudi austriaci. Per ottant’anni la promiscuità feudale fu accettata; ma la morte senza eredi dell’ultimo conte di Gorizia nell’anno 1500, responsabile di non aver impedito, o addirittura favorito le devastanti invasioni turche nell’ultimo quarto del Quattrocento, e il subentro della Casa d’Austria al conte di Gorizia indusse Venezia alla conquista militare del feudo orientale nel 1508.
Scoppiò allora una guerra fra la Repubblica e una coalizione europea, che si concluse con la pace di Madrid nel 1516: fu allora fissato il confine sul torrente Judrio, che confermava Venezia nel dominio della Terra di Monfalcone, a oriente del feudo goriziano, e naturalmente non fissò con precisione i confini dei piccoli feudi (Aquileia, Castel Porpetto, Gorizzo, Pordenone).
Visto che il confine orientale rimaneva aperto, il “fattore T” (paura dei turchi) indusse Venezia a fondare la fortezza di Palma nel ventiduesimo anniversario della battaglia di Lepanto (7 ottobre 1593) ben sapendo che quella formidabile fortificazione poteva favorire la conquista del feudo goriziano.
L’occasione, il “casus belli”, si presentò nel 1615, quando gli Uscocchi, un popolo di pirati con base nel Quarnaro, avevano messo a ferro e fuoco Monfalcone. Venezia non esitò, allora, a invadere i possedimenti arciducali per soccorrere Monfalcone e così diede inizio a una guerra di conquista lungamente premeditata. Gorizia, sguarnita, non fu attaccata, forse perché lo scopo immediato dell’offensiva era la conquista di Gradisca, che il generale Pompeo Giustiniano cinse d’assedio il 24 febbraio 1616. A fianco dei Veneziani erano schierate ottime truppe friulane, condotte da Carlo di Strassoldo, Daniele Antonini, Urbano di Savorgnano, Valterpoldo di Spilimbergo e Antonio di Manzano.
Il 5 marzo la fortezza fu duramente bombardata, ma il generale veneziano non vide buone possibilità per un assalto. Il 10 morì Daniele Antonini, celebre astronomo e matematico udinese, e con lui molte centinaia di altri combattenti. Il 29 il Senato veneziano, impressionato per la perdita di quattromila uomini ordinò di togliere l’assedio.
Ma la guerra non finì. Continuò sanguinosa, accanita, spezzettata da azioni tattiche spesso occasionali, per mesi e mesi. San Floriano del Collio, ad esempio, fu conquistato il 20 aprile 1616. L’esercito veneziano subì perdite impressionanti e per rimpolpare i reparti furono arruolati mercenari svizzeri e olandesi.
Nel giugno 1617 caddero sul campo Antonio di Manzano e il comandante degli Austriaci. Fu posto allora nuovamente il blocco di Gradisca. La fortezza, difesa da valorosi combattenti agli ordini di Rizzardo di Strassoldo, resistette a pesanti bombardamenti. E il 6 novembre, quando i difensori erano ormai a corto di acqua e viveri, e i Veneziani si apprestavano alla spallata finale, fu firmato un armistizio per l’intervento diplomatico del Re di Spagna, che volle salvare dalla sconfitta l’arciduca Ferdinando. La pace, conclusa ancora una volta a Madrid, ricostruì la situazione preesistente con meticolosa precisione. L’arciduca austriaco restituì i territori occupati durante le operazioni belliche e altrettanto fece Venezia, che perse l’ultima occasione propizia per riavere Gradisca e Gorizia.
Così il confine orientale della Terraferma, malamente tracciato un secolo prima sul corso dello Judrio e dell’Ausa, e da tutti ritenuto provvisorio, divenne definitivo fino alla prima guerra mondiale. —
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