Palestina, le radici del conflitto

Al Nuovo incontro speciale con Claudio Vercelli sulla guerra nella Striscia di Gaza. «Arrivare ora a un accordo con Israele è una delle cose più ardue da fare»

Mario Brandolin

L’urgenza di una catastrofe umanitaria come quella in atto in Israele e l’urgenza di capirne con razionialità le ragioni, scevri cioè da pregiudizi ideologici o reazioni emotive, hanno spinto l’editore Laterza e la Fondazione Giovanni da Udine a inserire uno “speciale” all’interno del ciclo delle Lezioni di Storia quest’anno dedicato alla Guerra dei sessi. Lo “speciale” è la lezione del professor Claudio Vercelli su “Israele-Palestina. Alle radici del conflitto” in calendario sabato 20 gennaio, alle 11.

Docente di studi ebraici presso la Limee, Scuola Superiore Universitaria per mediatori Linguistici di Milano, autore di numerosi saggi sulla storia dell’ebraismo nel ‘900, di cui i più recenti sono Storia del conflitto israelo-palestinese, e Israele. Una storia in dieci quadri, entrambi editi da Leterza, il professor Vercelli nel corso della sua lezione si soffermerà su alcune parole chiave che servono a contestualizzare le ragioni di un conflitto che affonda le sue radici già nella seconda metà del secolo XIX.

Parole chiave come Imperi «il cui disfacimento – così Vercelli – con la Prima guerra mondiale destabilizzò molti territori, in particolare quello dell’Impero ottomano che governava da secoli la Palestina, sulla cui sovranità dopo la fine del dominio ottomano c’è stata a lungo incertezza tra le potenze europee».

Altra parola chiave è Nazionalismo, «che rimanda soprattutto a culture politiche che all’inizio del ’900 avevano un ruolo importante nell’identificazione delle collettività. Come il Sionismo, corrente ideologica e poi politica alla base anche delle rivendicazioni per la nascita di uno Stato ebraico».

Un altro elemento chiave è costituito dalla Terra, «ossia lo spazio fisico in cui le comunità si sviluppano. Spazio molto ristretto quello di Palestina, la cui esiguità ha reso fortemente complicata e incerta la soluzione di due stati e due popoli».

Il che giustifica le pretese dei coloni di occupare territori palestinese per ingrandire lo Stato d’Israele? «Quello dei coloni è una questione gigantesca; sono circa 700.000 le persone che vivono in territori occupati. E questo non è solo un problema per i palestinesi, che ne subiscono gli effetti spesso molto violenti, ma anche per Israele stesso perché queste formazioni nascono in ambienti di estrema destra che tematizzano il superamento della democrazia israeliana».

E ancora Vercelli parlerà di Cittadinanza ed etnia e del «rischio che dinanzi al concetto universalmente riconosciuto di cittadinanza a prescindere della origini possa invece ritornare la seduzione del discorso etnico».

E ancora di vittime e carnefici, «che nel caso del conflitto israelo-palestinese è molto complesso attribuire agli uni piuttosto che agli altri».

E ancora Vercelli si soffermerà su integrazione ed espulsione e infine su quella mediazione politica, «quella che oggi manca completamente».

Non ci fosse stata la Shoah ci sarebbe stato lo Stato di Israele? «Si, con modalità e tempi diversi, però. Israele non è risarcimento alla Shoah, perché in realtà l’insediamento ebraico sionista che nel 1948 darà vita allo Stato di Israele risale a settanta/ottanta anni prima».

Molti asseriscono che questa guerra porterà al suicidio di Israele. «Questo no, ma la fine di un Israele democratico forse sì. E questo rappresenta un pericolo anche per i Palestinesi, dal momento che la loro salvaguardia viene strumentalizzata da Hamas, che come tutti gli estremismi non cerca la mediazione, ma solo la valorizzazione di se stessi».

Come finirà? «Come prevederlo? Sicuramente sarà molto più difficoltoso affrontare una negoziazione in funzione della creazione di due stati e due popoli. Come si era quasi arrivata a realizzare con l’iter negoziale svoltosi dal ’93 al 2000 che ha coinvolto Israele e Autorità palestinese sotto l’egida del presidente Clinton.

Però i risultati che ne derivarono furono molto modesti in quanto al momento della firma tra il primo ministro israeliano Barak e Yasser Arafat, il rifiuto da parte di quest’ultimo ha concorso a esasperare le posizioni. Tuttavia arrivare a un accordo negoziale, dove due popoli distinti ma anche con tratti comuni condividono a stretto giro di gomito due lembi di terra geograficamente molto contenuti, è dopo 100 anni una delle cose più ardue e complicate da fare».

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto