La montagna che vogliamo: ecco il nuovo libro di Marco Albino Ferrari

Il giornalista presenta il nuovo saggio sabato 5 luglio a Piancavallo. «Serve riportare questi luoghi nel presente»

Melania Lunazzi
Il giornalista e scrittore Marco Albino Ferrari
Il giornalista e scrittore Marco Albino Ferrari

Che futuro vogliamo per le nostre montagne? Risponde a questa domanda e prova ad indicare alcune possibili vie, il giornalista e scrittore Marco Albino Ferrari nel suo libro La montagna che vogliamo. Un manifesto, pubblicato nella collana Le Vele Einaudi (133 pagine, 13 euro). Il libro viene presentato in forma di spettacolo sabato 5 luglio, alle 11 a Casera Capovilla in Piancavallo, con l’accompagnamento musicale di Francesco Zago.

Da decenni impegnato nella divulgazione dei temi collegati alla cultura alpina, gran conoscitore dell’arco alpino e dell’Appennino e acuto osservatore delle dinamiche sociali e di attualità intrecciate alla frequentazione delle montagne, Ferrari ricompone un tema assai complesso e articolato, realizzando un affresco propositivo che tocca tutti i temi correlati alla montagna e/o alle “aree interne” italiane.

Da cosa è inquinato il nostro sguardo sulla montagna e come possiamo costruire uno sguardo nuovo?

«Da una serie di stereotipi attribuiti alla montagna in epoca romantica. Le abbiamo dato un senso che soddisfaceva il nostro bisogno di fuga dalla città, idealizzando un mondo che non esiste più. La prima cosa da fare è riportare la montagna al presente e non trattarla solo come museo».

Lei conia un neologismo che è Ecopopulismo, che cosa rispecchia questo termine?

«L’idea di sacralizzare natura, montagna e alberi, cioè non riconoscere il fatto che noi stessi siamo natura. Non è nella natura selvaggia che si risolvono i grandi problemi del pianeta oggi, ma attraverso una cura e una ricerca di equilibrio tra presenza umana e ambienti naturali».

Qualche esempio?

«Chi grida che gli alberi si abbracciano e non si tagliano o chi tenta di umanizzarli come una certa vulgata fa oggi».

La nostra Costituzione prevede un articolo, il 44, elaborato dal senatore tolmezzino e uomo di cultura Michele Gortani, a tutela della montagna. Che cosa dovrebbe proporre una nuova legge-quadro sulla montagna?

«Una norma che faciliti le ricomposizioni fondiarie, che doti i sindaci di montagna di più poteri o costruisca una burocrazia su misura rispecchiando le peculiarità dei territori che non sono assimilabili ad una città. Imporre ai giganti del web di arrivare con banda larga anche nei paesi più sperduti. Favorire e finanziare la presenza di negozietti di paese e tante altre misure».

Overtourism e undertourism, montagna di serie A e montagna di serie B: vanno colmate le disuguaglianze?

«No è proprio attraverso le disuguaglianze che si costruisce diversità e complessità nel mondo della montagna. Dove c’è overtoursim bisogna cercare di limitarlo, ma mai pensare di spalmarlo in altre località dove non c’è turismo. Ogni vallata, ogni porzione di montagna deve trovare in sé le proprie peculiarità e esaltare quelle. Una valle dell’Appennino non potrà mai essere come le Tre Cime di Lavaredo».

Come si configura il rapporto pubblico-privato nelle aree interne e come può essere di esempio il governo dei beni collettivi già applicato in passato nelle aree di montagna?

«Ecco: la terza via tra pubblico e privato è proprio la gestione dei beni comuni, le vicinìe e tutti gli esempi di proprietà partecipata che le Alpi ci danno fin dal Medioevo. Il più antico statuto, quello del 1111, è della Magnifica Val di Fiemme che ha saputo gestire i territori in modo equilibrato e produttivo all’interno del rispetto dell’ambiente grazie a forme di comunitarismo».

Perché in Italia non riusciamo a mettere in atto strategie integrate di lungo respiro come nel Canton Vallese o nel Voralberg austriaco?

«Perché la montagna è vista come un museo, per compiacere quella idea stereotipata che il cittadino si è fatto della montagna oppure come luogo dei divertimenti, da quando si è insediata la grande macchina dello sci. E la montagna non si riesce a emancipare da questi due modelli: o un mondo antico da celebrare o un grande centro di divertimenti e loisir. Ma la montagna, come testimoniano i casi di Austria, Svizzera o Alto Adige, può essere laboratorio per mettere in atto buone pratiche e una concezione nuova di vita attenta all’ambiente». 

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