Olmi e il cardinal Martini che poteva diventare Papa

FEDERICO CAMON. Si torna a parlare del cardinal Martini: l’altra sera è uscito un film di Ermanno Olmi su di lui e fra cinque giorni comparirà nelle librerie un suo libro complessivo. Le idee-guida del film e del libro circolano già sui giornali, son conosciute e dibattute. Il cardinal Martini era amato e ascoltato dai cattolici italiani, molti dei quali lo sognavano come Papa. Si obiettava che un Papa gesuita sarebbe stato una anomalia, ma non è vero: un Papa gesuita adesso lo abbiamo, dunque la ragione della non-candidabilità di Martini era un’altra, e precisamente la sua malattia. Martini aggiungeva anche qualche pizzico rivoluzionario che spaventava il conclave, e cioè la rinuncia al primato petrino. Lui puntava alla riunificazione di tutti i cristiani, gli pareva questo il mezzo per resistere all’urto dell’Islam, ma per chiamare i cristiani separati alla riunione bisognava offrirgli la parità: non si sarebbero mai riuniti (non si riuniranno mai) con i cattolici finché i cattolici gli avessero collocato il Papa sulla testa, a comandargli. Per Martini la riunificazione è una questione di parificazione. Non s’è discusso abbastanza, nel mondo cattolico, di questo problema. Ma è certamente un problema, e il cardinal Martini lo sentiva.
Il cardinale era per l’impegno nella vita, una vita si deve vincolare a qualcosa, deve promettere e mantenere fedeltà. Perciò vedeva con dispiacere il calo dei matrimoni. Sentiva il calo dei matrimoni come il rifiuto (e la paura) dei giovani di fronte a un vincolo che lega per tutta la vita. In questo aveva ragione: chi convive, ma non si sposa è come uno che arriva al contratto ma non lo firma, si tiene aperta la via per un ripensamento. Questa libertà di poter svincolarsi fa sì che la coppia dei conviventi sia molto solida. Ci sono conviventi che stanno insieme dieci anni, poi si sposano e subito si separano. Il matrimonio cattolico, con la formula “finché morte non vi separi”, è terrificante. Lo stesso papa Bergoglio ha dichiarato, pochi giorni fa, che «ci vuole un bel coraggio per sposarsi». È vero (anche per farsi prete, però; insomma, per prendere una decisione che inchioderà tutta la vita). Il cardinal Martini incoraggiava verso questa decisione. È la decisione del grano di frumento che si fa seppellire per fruttare. Un tempo questa disponibilità al vincolo matrimoniale era più estesa, mentre era meno estesa tra i giovani la libertà sessuale. E certamente le due tendenze sono in correlazione. La libertà dei costumi esonera dai sacrifici. Su questo punto il cardinale nicchia, sembra rimpiangere il passato, perché era più rigoroso. Il cattolicesimo di ieri (diciamo, pre-Bergoglio), era incentrato sulle virtù a raggio corto (il fedele e se stesso), la castità, la continenza, mentre in questi anni, e la tendenza ha un’accelerazione con papa Bergoglio, prendono il sopravvento le virtù a raggio lungo, le virtù sociali (il fedele e gli altri), pagare le tasse, non sfruttare, non licenziare, non inquinare. Martini sta in mezzo. Riconosce che l’ossessione sessuocentrica non era «una dottrina sana», però ha forgiato un’educazione “propizia”, aggettivo ambiguo ma insostituibile, perché indica il dominio «della sessualità e della sensualità». C’è qualcosa di paolino, in questo. Paolo è un “cattivo maestro”, aveva il terrore del sesso e ha trasmesso questo terrore al cattolicesimo che da lui deriva. Compreso il cardinal Martini. Martini è stato a lungo malato, la malattia l’ha obbligato a riflettere sulla morte, e a trovarne una utilità. L’uomo è un ribelle, la morte lo piega. L’uomo scappa da tutte le parti, ma quando viene la morte si arrende. «Si affida ciecamente». Aveva sempre cercato un senso, adesso lo trova. Sarebbe stato un buon papa, Martini? Certamente: un papa alto. Ma Bergoglio è buono. Preferisco Bergoglio.
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