«Nude sì, ma con rispetto perché la causa è nobile»

Le signore sono in déshabillé. Dire nude è sconveniente, anche se lo sono, in realtà, con tutti gli accorgimenti necessari. C’è pudore, è teatro, è arte. Ma non è questo a dare lustro a Calendar girls (da domani al Sociale di Gemona e da martedì 13 a giovedì 15 al Giovanni da Udine, poi in tour Ert) comedy di brillantezza che si nutre di cronaca vera, bensì l’aspetto filantropico della faccenda. Forse è meglio cominciare da capo spalleggiati da Angela Finocchiaro, protagonista assieme a Laura Curino, Ariella Reggio, Corinna Lo Castro, Carlina Torta, Matilde Facheris, Elsa Bossi, Noemi Parroni, Titino Carrara e Stefano Annoni, di una pièce che da tre anni tiene su i cartelloni degli Stabili.
«Le Calendar girls, in origine, erano dello Yorkshire - spiega Angela - generose e pazze ladies che si spogliarono per un calendario affinché il ricavato finisse nelle casse dell’ospedale dove il marito di una di loro morì di leucemia. In tutti questi anni la coglitura è stata pazzesca: oltre due milioni di sterline. Noi per l’Italia proseguiamo la raccolta a favore dell’Ail, associazione contro le leucemie, linfomi e mieloma».
Nobile gesto. Tre anni di tour non è uno scherzo. Ciò ne fortifica lo spessore. Stanca, Angela?
«La routine del viaggio spezza l’identità. Un po’ debilitata, certo. Vivi senza casa, senza approdo. Fare e disfare valigie è sfibrante. La carica ce la diamo noi. La compagnia è davvero un gioiello di compagnia. Ci passiamo persino le malattie, sa? Una ha un raffreddore, zac, anche le altre se lo beccano. Fantastico. Rifarei tutto e non lo rifarei. Sto già intravedendo la sagoma del prossimo lavoro, sul quale taccio, e sinceramente spero in ritmi più blandi, sa com’è».
Un fine carriera se lo prefigura o è sempre un’impresa lasciare lo spettacolo?
«C’è lotta, può immaginare. Certi giorni lo penso, altri mi rispondo perché dovrei smettere. Ogni volta è comunque un’avventura, il mutare degli scenari e dei sentimenti aiuta a caricarsi».
Nuda in scena crea quel minimo d’imbarazzo?
«Non ricordo cosa provai al debutto, con sincerità. Cercarono di avvolgerci con una specie di rete, ma sembravamo degli insaccati e così abbiamo deciso di affrontare la platea senza trucchi. Usiamo degli accorgimenti, è un nudo d’arte e come tale va gestito e interpretato. Ora non ci faccio più caso».
Siete un gruppo impegnativo. Intendiamo che le produzioni di oggi sono ridotte all’osso, chi ormai rischia in un’Italia dove la cultura è considerata un lusso e non un bene?
«I coraggiosi ringraziando Iddio esistono e il nostro produttore Agidi, con Enfi teatro, lo è. Se non ci fosse chi rischia, i palcoscenici sarebbero semivuoti. Credo siano soddisfatti, adesso. Oltre duecento repliche, e ne mancano altre, al giorno d’oggi è tanta roba».
Mica come quando Angela Finocchiaro cominciò a passeggiare sulle tavole ruvide con “Quelli di Grog”, mitologico gruppo poi finito nel cult di Nichetti, Ratataplan.
«Eh be’, nei Settanta era difficile evitarlo, il teatro. Dovevi proprio cambiare strada per non andarci a sbattere. Atmosfere piene di voglia di fare e d’inventare. Eravamo poveri. Alla ricchezza intellettuale non ne corrispondeva affatto una materiale. Avevo una Renault 4, caricavamo tutto là dentro, noi compresi. E si partiva. Dove serviva allestivamo la scena e si recitava. Poi si smontava. Adesso c’è meno voglia di fare, nessuno fa più l’avventuriero, conosce l’ammontare del cachet e la fama è la conquista, meglio subito che poi».
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