Ninetto Davoli: in questa Italia Pasolini sarebbe il piú infelice del mondo

GRADO. “L’isola di Medea”, sottotitolo “Maria Callas, Pier Paolo Pasolini. Il backstage del film tra Grado e laguna”, è un documentario che si sta girando in questi giorni, tra l’isola di Mota Safon e la laguna di Grado e Marano dove Pasolini nel 1969 girò “Medea”, con la “divina” Maria Callas.
Il documentario è prodotto da Lagunamovies/Lagunafest con Karel Film&VideoProduction con il sostegno di Fvg Film Commission. Ne è autore e regista Sergio Naitza, mentre a far da Cicerone nel luoghi favolosi di quel set c’è Ninetto Davoli, a fianco di Pasolini sin dai primi anni ‘60. Li abbiamo sentiti.
«Il documentario nasce dall’idea di non chiudere Lagunamovies nei soli giorni del suo svolgimento, ma realizzare anche qualche evento destinato a rimanere – spiega Naitza –. È stato cosí con il recupero di due film di Franco Giraldi, e con alcuni spettacoli teatrali, tra i quali quello sullo spreco con Massimo Cirri e Andrea Segrè.
L’anno scorso, quarantennale della morte di Pasolini, abbiamo pensato di fare qualcosa che fissasse la memoria dell’esperienza pasoliniana di “Medea”».
Oltre a ricostruire il set del film, dando voce e volto anche ai diversi gradesi che vi lavorarono, come tecnici o comparse, «il documentario – continua Naitza – cerca di ricostruire il legame che Pasolini ebbe con Grado, forte al punto di inventarvi un Festival del cinema (cinema muto, in specie, che poi venne sviluppato con piú fortuna a Pordenone), e che divenne lo sfondo di una love story con la Callas che lo proiettò, lui famoso per le battaglie con la censura e la giustizia, nel mondo del gossip internazionale».
«Una proiezione suo malgrado – precisa Davoli – perch Pasolini non ne fece mai caso, abituato come era a ben altre attenzioni da parte della stampa per la sua opera. Che poi era la sola cosa che lo interessava, raccontare storie lasciando agli altri il giudizio, era la di sopra di queste cose».
Tornare sui luoghi di “Medea” per Davoli, che all’epoca faceva il militare a Trieste, che cosa ha significato? «Un’emozione grandissima, come so’ sceso dalla barca me so’ venuti i brividi, a pelle di gallina, tanto ero preso e poi lacrime e abbracci con Mauro il figlio del gestore della piccola osteria dell’isola, dove con Pier Paolo ci si andava a mangiare.
E anche se qualcosa è cambiato, il cason, con la sua anima che tanto ci affascinò, resta quello di un tempo e i ricordi di quei giorni lontani sono affiorati con una vivezza inaspettata».
E alla domanda sul ricordo piú bello che Davoli ha di Pasolini: «Nun c’è un ricordo piú bello di un altro, sono stati 13 anni intensi, pieni di entusiamo, di novità. Con Pier Paolo era tutta una gioia, un divertimento, anche quando si lavorava».
A proposito com’era sul set? esigente? «No, no Pier Paolo non era esigente, come lo era Fellini a esempio, sapeva quello che voleva, ma lo sapeva anche realizzare con naturalezza; visti anche gli attori, molti dei quali presi dalla strada....».
E lo dice con un tono che sprizza ancora fiducia, amicizia, allegria, commozione e ammirazione per quello che è stato il suo mentore. Ma si incupisce di colpo al solo nominare i ciclici ritorni sulla morte di Pasolini: «Perché dobbiamo parlare di questo, la gente parla parla, nun me fa parlà perché questo mi angoscia molto». Si inferfvora invece quando gli chiedi di dire quanto manca Pasolini all’Italia oggi.
«Ma Pasolini, vivesse in Italia in questo momento particolare, sarebbe l’uomo piú infelice del mondo». Perché? «È quell’Italia che lui aveva descritto cosí preciso nei suoi ultimi anni, imbruttita nel consumismo, senza anima, senza memoria, senza niente».
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