Neri Marcorè porta Sherlock Holmes in musical: «Un’icona che non ha bisogno di essere studiata»
L’attore debutta al Verdi di Pordenone con Sherlock Holmes — Il Musical, prima regionale di un progetto unico nel suo genere. «Il genere non mi ha mai appassionato, ma Holmes è universale».

Sherlock è decisamente il detective più raffigurato dalle arti visive: per pochi secondi apparve in un cortometraggio del 1900, pensate un po’. Seguì un secolo abbondante di cinema per l’uomo più acuto della londinese Baker Street, che il creatore del giallo deduttivo, Sir Arthur Conan Doyle, aveva plasmato tredici anni prima: nel 1887, con il caso “Uno studio in rosso”.
Un musical dedicato, però, non s’era ancora mai visto, almeno fino a quando Neri Marcorè decise di farlo comparire anche su un palcoscenico. E l’occasione per godere di questa primizia è immediata: da oggi, mercoledì 3, a venerdì 5, lo spettacolo sarà di scena al Teatro Verdi di Pordenone in prima regionale. Testi di Andrea Cecchi - che cura anche la regia - Alessio Fusi ed Enrico Solito. Paolo Giangrasso è il dottor Watson. Il titolo? Facile: “Sherlock Holmes — Il Musical”.
Marcorè, siete davvero i primi ad aver illuminato Holmes sul proscenio?
«Cecchi e Fusi, dopo ricerche approfondite, lo confermano. Volendo essere precisi, un caso in Inghilterra va ricordato, ma ebbe uno scarso successo. Al contrario del nostro, me lo lasci dire».
Molta gioventù del Novecento è cresciuta appassionandosi ai casi dell’investigatore britannico. Lei?
«Di libri ne ho letti parecchi da ragazzo, ma su Sherlock ben pochi, in verità. Forse il volume apripista della saga e, di sicuro, il celeberrimo “Il mastino di Baskerville”. A parte qualche indagine di Agatha Christie, il genere non mi ha mai appassionato. Ma Holmes è talmente iconico che non richiede uno studio: lo si conosce e basta».
Col musical, notoriamente, si vince facile. Il pubblico ne è ghiotto, anche se implica una gran bravura in recitazione, danza e canto. È stato un percorso faticoso?
«Non ne sarei così convinto: a non tutti piace, di certo è coinvolgente. Se devo snocciolare dei titoli graditi, ecco, dico “Grease” e “Mamma mia!”, mentre faccio più fatica a digerire “Cats”. Ho affrontato quest’avventura con gioia, davvero, mettendo soprattutto la mia esperienza al servizio di tutti. C’è un equilibrio intrigante fra testo e canzone: apprezzai l’armonia già dalla prima lettura».
Il teatro sta vivendo una stagione incredibile: la prosa ha ritrovato serenità dopo gli anni bui della pandemia. L’arte più antica è sempre la più amata.
«I tempi del “un posto su tre”, se Dio vuole, se ne sono andati. La forza del palcoscenico è la sperimentazione, che continua nonostante sia stato scritto qualsiasi cosa, ben oltre ogni immaginazione. E poi c’è il respiro dell’umanità: ciò che viene creato là sopra arriva agli spettatori, e mai nello stesso modo. Ogni rappresentazione è unica».
La tv che l’ha lanciata, invece, sta soffrendo. “La Corrida” e “Stasera mi butto” hanno fatto la storia dell’intrattenimento, rivelandosi fantastiche palestre per chi poi spiccò il volo. Adesso, però, interessa solamente la cucina. E la musica.
«Concordo parecchio su quel che dice. “La Corrida” era Corrado e, con altri conduttori, non ha liberato l’identico pathos. “Stasera mi butto”, invece, si rivelò un esperimento riuscito. Da quella rivista - chiamiamola pure così - uscirono molti imitatori che riempirono altri show della Rai. Ricordo l’entusiasmo di certi funzionari che ci proposero di lavorare subito nel programma di Raffaella Carrà, per non disperdere i talenti appena scoperti. Oggi la televisione cita sè stessa e acquista i format all’estero. Il varietà col quale sono cresciuto, negli anni Settanta e Ottanta, non esiste più. Forse solamente la Gialappa’s si avvicina allo spirito di quel felice fine Novecento».
Lei arriverà in Friuli, la terra di Bruno Pizzul, un telecronista amato da tutti che ha celebrato nelle sue prime performance. Vi siete mai incontrati?
«L’ho ammirato tantissimo per il garbo e la maestria. Ci siamo incontrati varie volte, alcune di queste in collegamento per “Quelli che il calcio”, e non dimentico il suo saluto affettuoso. La mia era una parodia per la quale Bruno non si offese mai. Anzi, mi confidò che si divertiva».
Ricordiamo un suo recital al “Mittelfest” di Cividale. C’è un episodio che la lega alla nostra regione?
«Il mio battesimo musicale avvenne al “Folkest” di Spilimbergo con Alessandro Tomei, che purtroppo ci ha lasciato in questi giorni. E condivido l’approccio che hanno i friulani con la vita: basso profilo e lavorare a testa bassa». —
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