Nelle fotografie di Guido Bearzotti il Friuli raccontato con umiltà e rispetto

Nicola Cossar
Una delle immagini realizzate da Guido Bearzotti
Una delle immagini realizzate da Guido Bearzotti

Un passo indietro. Di fronte allo scorrere della vita, agli inarrivabili e silenziosi disegni della natura, alle generazioni senza nome che si rincorrono, al respiro del mondo e del suo Friuli.

Lui e la sua macchina fotografica erano lì, senza timori, con amore e rispetto, con curiosità e fiducia, con sogno e fantasia. Un passo indietro per guardare, contemplare, capire meglio e farsi racconto.

Migliaia di immagini (in bianco e nero, a colori e Polaroid) raccontano meglio di queste parole la vita di Guido Bearzotti, che ci ha lasciati a 87 anni e che ho avuto l’onore di poter chiamare amico.

Guido, nato a Perteole, in una delle umili case della località La Fredda (a due passi dall’amideria Chiozza), era un orgoglioso e apprezzato muratore, un ottimo muratore.

Poi, nei fine settimana si trasformava, diventava un altro uomo, un artista capace, con un talento innato, di rubare gocce di eternità al luoghi che visitava, di vedere con gli occhi dell’anima disegni, geometrie e luci riservati a pochi ma poi donati a tutti per mezzo delle sue fotografie.

Era un fiero dilettante, Bearzotti, innamorato del sommo maestro Cartier-Bresson e dello stile “urgente” di Robert Frank. In qualche modo li voleva onorare, scatto dopo scatto, grato per aver scoperto, grazie a loro, un Guido diverso persino nel carattere, che dietro la macchina si trasformava: da ruvido e roccioso si faceva umile, pacato e gentile, capace di infiniti ascolti, sempre desideroso di imparare. A suo modo, un silente filosofo dell’immagine.

Lo sa bene il comune amico Sandro D’Antonio, a lungo presidente regionale dei fotografi professionisti: «Ricordo i tanti sabati che passava in Photolab a presentarmi puntualmente il lavoro svolto, per ascoltare critiche e suggerimenti, per ragionare su sviluppo e stampa, su altri nuovi passi da fare con le sue Leica e Canon – commenta –. Sono orgoglioso di averlo spinto a continuare a coltivare quel talento.

Sì, perché Bearzotti, anche se la vita non gli aveva permesso di continuare gli studi scolastici, aveva uno straordinario e innato talento per la fotografia».

Come Sandro, conosco ogni immagine delle stagioni dell’uomo e della natura ritratte da Guido, un mondo in cammino da contemplare con rispetto e umiltà e poi da raccontare nelle mostre.

Eppure, raccontava poco di questa sua grande passione, sempre condivisa con l’inseparabile Maria, l’altro amore della sua vita, che spesso lo accompagnava in giro per in Friuli.

Erano viaggi silenziosi e, in qualche modo, avventurosi, sempre in cerca di nuove bellezze e di nuovi stupori.

Scorrono le foto del mare senza tempo, tutte con qualcosa di magico ed eterno: Lignano, Bibione, Marano, Grado, Marina Julia e quegli incredibili angoli di solitudine che sapeva portare alla luce.

Così come l’immortale e poetica Rilke che con le sue bianche falesie abbraccia quasi in un tuffo l’Adriatico.

E poi la Udine nascosta, il Castelmonte della fede secolare, la Palmanova dei provveditori e delle milizie, Perteole e i paesini dei dintorni, la campagna della Bassa con i suoi solitari, silenziosi e immoti spazi senza fine.

Sono tutti capitoli di un’unica, generosa e cinquantennale storia per immagini che Guido ci lascia. Parlano per lui, parlano di lui ai nostri occhi e al nostro cuore. Un passo indietro, mai dimenticato.

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