A vicino/lontano Ibtisam Azem e la scomparsa dei palestinesi
La scrittrice palestinese ha presentato il suo romanzo al festival. «Un libro in cui parlo di speranza, memoria e resistenza»

E se tutti i palestinesi in Israele scomparissero semplicemente un giorno? Cosa accadrebbe dopo? Come reagirebbero gli israeliani? Ibtisam Azem, romanziera, scrittrice di racconti e giornalista palestinese, tra i 13 autori nella longlist per il Premio Internazionale Booker 2025 ha presentato domenica 11 maggio, al festival vicino/lontano a Udine (evento in collaborazione con Aspettando La Notte dei Lettori), in dialogo con la giornalista e saggista, fondatrice e presidente di Lettera22, Paola Caridi, Il libro della scomparsa pubblicato in Italia da Hopefulmonster, nella collana La stanza del mondo.
Non di recente uscita, è stato scritto 10 anni fa e pubblicato in Italia prima del 7 ottobre 2023, racconta un’attualità dolorosamente spaventosa: la scomparsa improvvisa di tutti i palestinesi (in realtà, di tutti gli arabi) da Israele e ci riesce attraverso domande difficili e provocatorie, domande inquietanti poste dentro un romanzo potentemente immaginativo.
Ibtisam Azem è nata e cresciuta a Taybeh, vicino a Jaffa, la città da cui sua madre e i nonni materni furono sfollati internamente nel 1948. Ha studiato all’Università Ebraica di Gerusalemme prima di trasferirsi in Germania dove ha studiato all’Università di Freiburg e successivamente negli Stati Uniti dove lavora come corrispondente per il quotidiano arabo al_Araby al_jaded. Ha pubblicato due romanzi in arabo: Il ladro del sonno (2011) e Il libro della scomparsa (2014) e una raccolta di racconti, Vorrei essere un upupe (2024).
Ne Il ladro del sonno il tema ero lo straniamento. Ne Il libro della scomparsa i temi sono quelli della memoria, dell’identità, della presenza-assenza…
«Sì assolutamente. La memoria è un tema importante nel romanzo ed è cruciale per me. Non volevo che il romanzo trattasse solo delle reazioni della società israeliana alla scomparsa dei palestinesi. Volevo proprio che si concentrasse anche sulla narrazione palestinese e sulla speranza, la memoria, la resistenza. In Palestina ci sono sempre state guerre e le persone cercano di mettere quanto sta accadendo a Gaza adesso, nel presente. Ma la memoria è molto importante per capire il contesto.
Ogni guerra o evento in Palestina è rappresentata senza contesto o storia, come se fosse un caso assestante e impprovviso. I nonni dalla parte di mia madre vennero sradicati dalla loro terra Jaffa durante la Nakba del 1948, non hanno mai avuto il permesso di ritornare nelle proprie terre nonostante il diritto internazionale e la risoluzione 194 dell’Onu tutelino il loro diritto al ritorno. E se non puoi tornare alle tue proprietà le hai perse. Se lo racconti alla gente dicono che sei pazzo. Ma è la realtà. Quando ero una bambina e andavo a scuola, la Palestina era descritta come una terra vuota, come se non esistessimo nemmeno. La narrativa palestinese è assente nello spazio pubblico, nei musei, nel cambio dei nomi delle vie e delle città. E questo è parte del problema. La memoria è importante per i sopravvissuti. Le persone oppresse dall’occupazione ne hanno bisogno: è un salva vita. A restituirla, almeno nel romanzo, sono Alaa e sua nonna palestinese».
A restituirla, almeno nel romanzo, sono Alaa e sua nonna palestinese. Ma la scomparsa del popolo palestinese, nel suo racconto sembra una premonizione.
«Sì, ma quando ho scritto il libro, più di dieci anni fa, mi sono basata sulla lettura di quanto stava già accadendo. Ho studiato il passato e il presente sotto il dominio israeliano, con l’idea che quanto già accaduto sarebbe tornato come un incubo ancora e ancora».
Quanto tempo ha dedicato alla scrittura del suo libro, dove vive adesso e la sua famiglia è al sicuro?
«Per scrivere il libro ci ho messo tre anni. Vivo a New York e vado dalla mia famiglia, in un piccolo villaggio a nord di Jaffa, una volta all’anno. Non si è mai al sicuro. In coloro che vivono là la domanda che hanno in testa è: chi saranno i prossimi dopo Gaza?».
Ci sono delle persone in Israele che lottano per voi Palestinesi?
«Non lo so. C’è chi tra loro cerca di fare la differenza. Ma devono lottare per loro stessi perché, se non lo fanno perderanno la loro umanità. Come potranno ancora vivere senza?».
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