“Nel silenzio della memoria”: un saggio in Slovenia rompe il tabù dell’esodo

L’antropologa Katja Hrobat Virloget pubblica una ricerca. Raccolti dati e testimonianze: «Ma non fu pulizia etnica»

Pierluigi Sabatti

Dare voce alle “memorie negate”, riflettere sul ruolo reciproco di vittime e carnefici, ascoltare l’altro con empatia: questo l’impegnativo compito che si è assunta Katja Hrobat Virloget, antropologa slovena, con il suo il libro V tišini spomina: “eksodus” in Istra (Nel silenzio della memoria: l’esodo e l’Istria), che sarà pubblicato in inglese dalla Berghahn Boooks di Oxford e New York, e che attende la sua edizione in italiano.

Katja Hrobat Virloget è professore associato e direttore del Dipartimento di antropologia e studi culturali della Facoltà di studi umanistici dell’Università del Litorale di Capodistria, nonché pro-rettrice della commissione per la ricerca scientifica d’ateneo. Si occupa di migrazione, movimenti di popolazione, antropologia della memoria e dello spazio, processi patrimoniali, folklore e mitologia.

Ha iniziato ad affrontare il tema dell’esodo e dei conseguenti flussi migratori in Istria già nell’ambito del suo progetto di ricerca post-dottorale iniziato nel 2012.

«L’idea – racconta – mi è venuta quando ho comiciato a lavorare per l’Università del Litorale. Ero a Pirano una sera d’inverno e ho sentito un vuoto. Parlando con una collega mi sono resa conto che questa sensazione era dovuta all’esodo della popolazione italiana sul quale non era mai stata fatta in Slovenia una ricerca sociologica«.

Il libro nel titolo ha proprio la parola esodo, rifiutata dalla pubblicistica slovena che preferisce parlare di» emigrazione post-bellica«, come preferisce il termine» optanti «che palesa un’azione volontaria e non imposta, rispetto al termine esuli, usato in Italia. Hrobat quindi infrange un tabù, grazie a una ricerca, che, spiega, è stata» permeata di silenzi, anche inconsapevoli «da parte dei testimoni.

L’autrice si è confrontata con gli sloveni dell’interno e del Litorale, con gli italiani rimasti e con coloro che sono venuti dopo dalle altre reubbliche della ex Jugoslavia a vivere nei luoghi lasciati vuoti dagli esuli. E ha cercato di comprendere come sono state prese decisioni, come quella di andare o di restare per gli italiani. Motivazioni di carattere economico, politico, culturale, religioso, sociologico quale» il sentirsi stranieri in casa propria». L’autrice smentisce però che si sia trattato di pulizia etnica» perché – afferma – non c’è una sola fonte che ne parli. Anzi gli atteggiamenti delle autorità locali sono contraddittori: ci sono coloro che fanno pressione perché se ne vadano e altri perché restino. Senza dimenticare la forte propaganda anti-jugoslava fatta dall’Italia«.

Però Hrobat sottolinea che l’esodo è anche un elemento della contrapposizione politica «tra i due Paesi. Ad esempio «quando l’Italia ha istituito Il Giorno del ricordo, la Slovenia ha istituito la ricorrenza della Restituzione del Litorale alla Madrepatria».

L’autrice non dimentica di mettere in luce la plurisecolare convivenza tra le popolazioni slave e italiane e rimarca il peso del ventennio di violenza fascista e del flusso migratorio che esso provoca tra la popolazione slovena e croata, preludio dei conflitti interetnici del secondo conflitto mondiale.

Nel volume ci sono dati significativi sull’esodo: posto che il numero complessivo degli emigrati istriani oscilla tra le 200.000 e le 300.000 unità, a seconda del discorso nazionale che si prende in considerazione gli optanti dell’Istria slovena ammontano a poco meno di 28. 000 persone, di cui la maggior parte è di origine italiana (70%), mentre il resto è di origini slovene e croate. Il più grande calo demografico risale al 1956, anno in cui l’esodo termina. Rispetto al 1945 la presenza della popolazione italiana diminuisce del 92%. L’apice dell’esodo avviene un anno e mezzo dopo il 1954, quando la zona B del Territorio libero di Trieste diventa parte della Jugoslavia.

Però sottolinea l’autrice, «nel censire le identità nazionali dei migranti è necessario dare rilievo alla fluidità, all’ibridismo e all’indefinitezza delle identità etniche provenienti da tali contesti multiculturali. Scegliere di optare per molti significò decidersi per un’identità nazionale, solitamente per quella italiana che prevedeva aiuti di Stato per i profughi». Nel volume non mancano le menzioni per gli atti di riconciliazione tra i due Paesi, ultimo l’incontro del presidente italiano Mattarella e dell’omologo Pahor a Basovizza, «certo – rileva Hrobar – sono bellissimi passi ma non so che eco abbiano perché la politica continua a usare la gente e il suo dolore per manipolarla».

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