Nel “Giornale di guerra” la storia di Mussolini dalla Carnia all'Isonzo

ll convulso itinerario politico esistenziale di Benito dal 1915 al 1917 in un volume edito dalla Leg di Gorizia

UDINE. L’inizio ha il tono retorico che ben conosciamo: «L’ora lungamente agognata è venuta: da due giorni sono un semplice soldato dell’esercito italiano. Con animo veramente lieto depongo la penna per imbracciare il fucile».

È il 2 settembre 1915 e il giornalista Benito Mussolini lascia la direzione del quotidiano Il Popolo d'Italia per venire arruolato nell'undicesimo bersaglieri e andare al fronte: in tutto, prolungate licenze comprese, circa sedici mesi, distribuiti tra l'Alto Isonzo (Caporetto e dintorni), la Carnia e infine il Carso, zona di Doberdò.

Un incidente provocato dallo scoppio di un lanciabombe (evento dalle cause mai chiarite) gli provocò ferite di una certa gravità che lo portarono prima a un lungo ricovero in ospedale e poi al congedo definitivo e al ritorno in redazione.

Per lui, febbraio 1917, la guerra era finita. La proseguì in altro modo, sulle barricate della propaganda e della politica.

Fino alle estreme conseguenze e al discorso pronunciato dal balcone di palazzo Venezia il 10 giugno 1940, quello con il quale impose all’Italia l’immane tragedia della seconda guerra mondiale proclamando: «Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili».

Tra lo scoccare delle due ore apocalittiche, a 25 anni di distanza, c’è in pratica la storia di Benito Mussolini, dal ruolo di bersagliere semplice (dopo qualche mese di trincea fu promosso caporalmaggiore, gli stessi gradi di Hitler, volontario nell'esercito bavarese) a quello di duce supremo.

Per conoscere e capire il convulso itinerario politico-esistenziale nel passaggio dal socialismo al fascismo, soprattutto per quanto accadde in quei mesi decisivi, è necessario rileggere il suo Giornale di guerra, le pagine che scrisse in trincea e che spediva al suo giornale per la pubblicazione a puntate, in cui rivendicava la coerenza fra pensiero e azione mentre gli ex compagni lo accusavano di essere un opportunista e di appartenere all’esercito cresciuto all’insegna dello slogan ”armiamoci e partite”.

L'arruolamento, chiesto da lui stesso, rappresentava una mossa obbligata di sopravvivenza politica e professionale per lo spericolato giornalista e attivista che, dopo un decennio di idealità antimilitarista, si era schierato in maniera tumultuosa a favore della guerra alimentando con il pubblico un dialogo incalzante e febbrile, che a un certo punto nel settembre del 1915 si spostò dunque al fronte, attraverso un diario che alla fine giocò a favore del carisma mussoliniano, con le conseguenze che si conoscono.

Fu in Carnia e sul Carso, in quell’esperienza militare vissuta direttamente, che il caporale dei bersaglieri intravvide il modello da caserma di ciò che diventò la quintessenza del fascismo, riassunto nel motto “credere obbedire combattere”.

Tutto questo possiamo riscoprirlo adesso grazie a un evento editoriale significativo, dovuto a più fatti determinanti, come la coincidenza tra il revival di attenzione e approfondimento per il centenario della Grande guerra e il passaggio degli scritti del duce al dominio pubblico, essendo trascorsi 70 anni dalla morte.

Tra le iniziative favorite da tali circostanze, spicca quella della Leg di Gorizia che ha ristampato il Giornale di guerra 1915-1917 di Benito Mussolini (220 pagine, 22 euro), proponendolo per la prima volta in una edizione critica a cura dello storico Mimmo Franzinelli il quale raffronta le 15 puntate uscite su Il Popolo d'Italia col volume in cui erano state raccolte nel 1923.

Le cronache dal fronte sono integrate dagli stralci epistolari dello stesso Mussolini mentre un’ampia postfazione fornisce illuminanti elementi conoscitivi e interpretativi cui si aggiunge l’ampia documentazione fotografica.

Importante, come segnala Franzinelli, notare lo stile usato dall’autore che dai toni patriottici d’anteguerra, con la retorica sparsa a piene mani, in prosa ridondante ed eccessiva, cambia registro nell'impatto con la vita militare, diventando asciutto ed essenziale mediante frasi brevi e penetranti.

Nulla di dannunziano o di marinettiano insomma, e nemmeno i toni enfatici di tanti inviati dell'epoca, ma un diario vero, credibile, per presentare la guerra in versione politicamente spendibile attraverso osservazioni suggestive e acute di vita quotidiana, attenta alle condizioni psicologiche del soldato-massa, «con finalità esortative imperniate sul riarmo dello spirito», spiega Franzinelli. Frasi brevi, efficaci, apodittiche conferiscono epicità a vicende in sé minime, ordinarie, apparentemente senza storia.

Il giornalista Mussolini rivela qui la sua abilità, dovendo anche respingere con tali racconti l’accusa di essere un furbo imboscato, un astuto caporal Fracassa, come dicevano gli avversari.

La lettura del diario narra sedici mesi tutto sommato non di estremo pericolo, nei quali l'undicesimo reggimento è spesso estraneo ai combattimenti, per cui Mussolini può essere considerato «un remoto osservatore della guerra», mentre lui sostenne allora e in seguito di essere stato un vero modello da prima linea.

Come in epoca liberale il deamicisiano Cuore era diventato il manuale della gioventù italiana, stessa sorte ebbe il Giornale di guerra durante il fascismo, ma questo fino al 1939.

Poi venne censurato dallo stesso Mussolini, ormai succube di Hitler, essendo il testo infarcito di giudizi denigratori sui tedeschi. Riappare adesso nella straordinaria edizione della Leg, tutta da leggere, soprattutto per chi vive nel Friuli Venezia Giulia.

Interessanti i riferimenti ai luoghi di qui. Citando rapidamente, ecco la simpatica Cividale, la buia Udine, San Pietro al Natisone dove si parla lo sloveno, il Pal Piccolo, il Freikofel, Ravascletto paese di poche anime, il torrente Volaja sepolto dalla neve, il costone Lambertenghi, Comeglians che afferra il cuore.

E poi, davanti alla immane carneficina, anche il caporale-giornalista smette ogni baldanza e sussurra al diario: «Martedì 5 dicembre. Cielo buio e terra più livida ancora. Mi trovo in trincea sui margini del lago di Doberdò. Quanto sangue ha bevuto e quanto berrà questa terra rossa del Carso?».

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