Migranti, outsider e stranieri: a vicino/lontano Tomaso Montanari racconta la Profezia degli scartati
Lo studioso e Paola Caridi mercoledì 7 maggio inaugurano l’edizione 2025 del Festival :«La loro diversità rappresenta una ricchezza e una risorsa

È la parola “scarto” il filo conduttore dei tanti appuntamenti di vicino/lontano 2025. Una parola che sarà al centro della serata inaugurale del festival, mercoledì 7 alle 19 nella Chiesa di San Francesco. Serata affidata a due voci, la giornalista Paola Cariddi e lo storico dell’arte Tomaso Montanari. “Quando sono debole, è allora che sono forte”: questo il titolo della lectio di quest’ultimo che abbiamo sentito.
Nella breve nota di presentazione lei ha scritto: “La parola “scarto” nella sua polisemia è per i linguisti casuale. Ma, ai miei occhi, è felicissima”. Perché?
«Perché lo scarto è una parola che vuol dire due cose. Scarto è ciò che si scarta, che si butta via, ciò che non serve. Ma lo scarto è anche lo scarto di lato, ai margini, che vuol dire non andare dritti sulla strada di tutti, ma cercare alternative. E spesso lo scarto di lato è anche il movimento improvviso e imprevisto che riapre i giochi, e cambia paradigma. E spesso consente di salvarsi e costruire cose nuove. È la mossa del cavallo che riapre i giochi, e cambia la storia. Apparentemente sembrano due significati opposti, ma in realtà stanno a dire la stessa cosa: ciò che è al margine è ciò che è carico di futuro e non ciò che è al centro».
Sottotitolo del suo intervento, La profezia degli scartati. Qual è questa profezia?
«È appunto questo: che il punto non è cercare la forza la sicurezza la certezza, ma il dubbio la marginalità l’eccentricità, la querness, cioè essere strani, non essere normali, questa parola terribile, costrittiva. Mentre tutto ci spinge a conformarci, a essere conformisti, quando in realtà là conformità e l’uguaglianza non producono e non generano nulla, soprattutto quel diverso che genera il futuro, ti fa andare avanti».
Quali allora gli scartati da cui, come dice lei, può venire uno sguardo e una ricerca per il futuro?
«Per esempio i nuovi italiani, i migranti, gli outsider, quelli che hanno una pelle scura, che hanno una cultura diversa dalla nostra ma che vogliono venire nel nostro paese per vivere. Io non credo che siano un pericolo ma una straordinaria risorsa. Risorsa non nel senso che li dobbiamo usare come schiavi, in un paese come il nostro a crescita zero, a rischio scomparsa e da cui se ne vanno più italiani, soprattutto giovani e laureati, di quanti stranieri ne arrivino, questi sono portatori di un’esperienza e di uno sguardo preziosi, perché capaci di sostenere e cambiare la nostra stanchezza: la loro diversità e la loro integrazione rappresentano davvero una ricchezza nuova, una risorsa unica. Che non è nell’Italia di prima ne nel loro paese ma una terza cosa, nuova, rigeneratrice, che non c’è».
Cosa che nella comunicazione di massa non appare propriamente così, ma sempre più spesso questi “scartati” sono visti come un pericolo, una minaccia per il nostro sistema.
«La lingua del potere, in questo quella americana di Trump è piuttosto impressionante, è una lingua che conforma tutto. Chi può allora a scardinare questo sistema? Parlando lingue diverse: da questo punto di vista chi è fuori dai giochi, cominciando dalle donne che si tratta sempre di un potere maschile, è portatore di un visione della realtà e di una prospettiva alternative, che significa capacità di decifrare, dimostrare la mendicità e la falsità del linguaggio del potere».
Dostoevskij diceva che la bellezza salverà il mondo. Ha ancora senso questa affermazione, se mai ce l’ha avuto?
«Dipende da come la intendiamo. In sè è alquanto pericolosa, se intesa in modo deresponsabilizzante, nel senso che la bellezza salverà il mondo quindi noi possiamo anche fare nulla o anche peggiorare la situazione. In realtà la bellezza è una cosa molto fragile che va salvaguardata e protetta. Se invece con questa frase si intende dire che quello che salva il mondo non è la volontà di potenza, non è la guerra, la sopraffazione, non è il profitto, il petrolio, la bellezza non come puramente bene estetico ma come la dimensione di umanità e armonia che c’è nel l’uomo, allora questa frase è vera».
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