Natasha Stefanenko: «Vi racconto la mia Russia, inquieta e disorientata»
L’attrice oggi a Lignano e domani a Tolmezzo col suo libro: «Per fermare la guerra bisogna capire il passato»

Avanza con la stessa inquietudine di un thriller, eppure “Ritorno nella città senza nome” è «all’ottanta per cento vita vissuta», spiega Natasha Stefanenko al suo primo giro letterario, edito da Mondadori, un racconto davvero intrigante di come l’Urss dei primi anni Novanta «da Paese rassicurante qual era si fosse trasformato in una specie di terra senza manovratore. Tutto crollò: le nostre certezze, la nostra sicurezza. Talmente all’improvviso che la gente si ritrovò confusa e incredula». L’autrice, con il suo libro, sarà in Friuli per un doppio appuntamento: oggi, alle 18.30, al PalaPineta di Lignano, in dialogo con la giornalista Elisabetta Pozzetto, terzo appuntamento della rassegna “Incontri con l’autore e con il vino”, e domani al festival “Tolmezzo Vie dei Libri” alle 21 nel Salone Albergo Roma, in piazza XX Settembre. Presenta Valentina Gasparet, curatrice di pordenonelegge.
Natasha, non avrebbe potuto scegliere attimo migliore per finire in libreria. Sembra un romanzo, fra l’altro molto ben scritto, in realtà non lo è. «Da una decina d’anni riordino ricordi di quand’ero giovane e abitavo nella città segreta. Non è stato facile selezionare la giusta narrazione: volevo evitare la biografia, troppo autocelebrativa, e il piglio avventuriero mi è sembrato il migliore. In questo salto nel vuoto sono stata ben spalleggiata da mio marito Luca e dalla bravissima Graziella Durante. L’attualità mi ha spinto a descrivere la strana vita in Russia dei Novanta, un periodo incredibile che ha cambiato il mondo, una modalità senz’altro utile anche per comprendere questo contemporaneo confuso».
Parliamo della sua città segreta?
«Un luogo mai apparso sulla cartina geografica, dove serviva il pass per entrare e il pass per uscire. Io nasco a Sverdlovsk 45, oltre centomila abitanti, intendo all’epoca, perché mio padre- finiti gli studi- fu costretto dal governo a trasferirsi proprio là in una fabbrica dove si maneggiava uranio, litio, plutonio. Vivevamo sicuri, non ci mancava alcunché, avevamo bei negozi, cinema, teatri, buoni ospedali e persino l’università. Nessuno sentiva il pericolo: solamente dopo Chernobyl ci accorgemmo della gravità della nostra passata esistenza. Quando morì Brežnev, per 18 anni sul trono, sembrò davvero tutto finito, la stessa sensazione che ebbe mia nonna al funerale di Stalin: la gente si ritrovò inaspettatamente travolta da una follia collettiva come se avesse perso Dio».
La scomparsa improvvisa di suo papà è il motore iniziale della vicenda che ingloba il periodo storico di Mikhail Gorbachev, che consegnò le dimissioni il 25 dicembre 1991, e del disarmo nucleare, il famoso patto con Reagan.
«Ed è proprio l’atmosfera cupa di quel periodo che volevo esaltare per offrire una testimonianza di come vivevamo noi russi in quegli anni. Gorbachev fu sovrastato dalla sua stessa storia».
Certo che ne ha avuto di coraggio...
«Bisognava seguire l’istinto e nuotare più forte delle onde che spingevano contro».
Poi lei vinse il concorso “The look of the year”, ma fu quasi costretta a parteciparvi.
«Non riuscivo a immaginarmi modella, un mestiere che ritenevo quasi antisovietico. Le ragazzine esibizioniste facevano le modelle. Io ero un ingegnere metallurgico e avevo studiato tanto e non certo per finire su una passerella. Poi ribaltai il pensiero e riuscii a immaginare il cambiamento come un’opportunità per girare il mondo».
Finché il regista Beppe Recchia la notò in un ristorante italiano.
«E mi cambiò la vita. In fondo ero partita da un posto pazzesco senza sapere dove sarei finita. E pensavo spesso a mia madre che, per lungo tempo, non sapeva nulla di me. In Italia incontrai Luca e iniziai a vivere una seconda esistenza, sempre con nel cuore quella precedente».
Finirà questa guerra assurda?
«Io confido nel dialogo. Troppi giovani russi e ucraini sono morti e stanno morendo per cosa? Che differenza fa a che esercito appartengono? Sempre fratelli sono. E questo mi fa davvero soffrire. Per comprendere il presente è fondamentale capire il passato e i rapporti tra la popolazione russa e quella ucraina».
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