Morto l’alpinista Cesare Maestri, il “ragno delle Dolomiti”

Aveva 91 anni, una vita dedicata alle salite: era stato il pioniere del “sesto grado”. Nel 2002 aveva organizzato la spedizione sullo Shisha Pangma (ottomila metri) 
Cesare Maestri premiato al Film Festival Trento con la Genziana d'oro. ++CREDITS GIULIA BATTISTI PER TRENTO FILM FESTIVAL++
Cesare Maestri premiato al Film Festival Trento con la Genziana d'oro. ++CREDITS GIULIA BATTISTI PER TRENTO FILM FESTIVAL++

UDINE. Cesare Maestri, il “ragno delle Dolomiti”, è mancato ieri all’età di 91 anni all’ospedale di Tione. La notizia è arrivata direttamente dalla pagina Fb del figlio Gianluigi “Questa volta Cesare ha firmato il libro di vetta della scalata sulla sua vita. Un abbraccio forte a chi gli ha voluto bene”. Riccardo Cassin disse di lui: «Dal mondo della montagna ha avuto meno di quanto avrebbe meritato», anche per l’esclusione – di entrambi – alla vittoriosa spedizione italiana al K2 guidata da Ardito Desio nel 1954.

Era nato a Trento il 2 ottobre del 1929, il padre e la madre erano inizialmente attori girovaghi, perse la madre a sette anni e a quattordici è partigiano sulle montagne trentine dopo l’8 settembre 1943.

Finita la guerra, Cesare Maestri studia arte drammatica a Roma e partecipa attivamente alle iniziative del Partito comunista italiano, ma dopo due anni rientra a Trento e decide di dedicarsi alla montagna, diventando guida alpina e maestro di sci. Nel 1951 scala in solitaria una via di più di 900 metri al Croz dell’Altissimo, nelle Dolomiti di Brenta, dando inizio alla sua carriera di scalatore solitario e inanellando una salita dopo l’altra. Suo carattere distintivo come alpinista era la capacità di riuscire a scendere arrampicando lungo itinerari fino al sesto grado: tra le più importanti c’è la Solleder al Sass Maor. Tremilacinquecento le salite da lui effettuate, di cui almeno un terzo in solitaria. Arrampica fino alla soglia dei settant’anni e nel 2002 organizza una spedizione su un Ottomila, lo Shisha Pangma.

La sua vita è stata segnata dalla tempesta di polemiche sulla veridicità della sua salita alla cima del Cerro Torre, il “grido di pietra” della Patagonia, avvenuta nel febbraio 1959 dopo una prima spedizione nel 1958 a cui prende parte tra gli altri anche Walter Bonatti. Durante la discesa dalla vetta il compagno di scalata Toni Egger perde la vita sotto una valanga e Maestri, anche lui travolto, viene salvato da un alpinista italo argentino, Cesarino Fava, dopo sei giorni, mentre il corpo di Egger sarà recuperato dopo quindici anni. Non essendoci prove tangibili – la macchina fotografica non venne mai ritrovata – del loro arrivo in vetta, soprattutto nel tratto finale di parete, considerato insuperabile in quegli anni e del fungo di ghiaccio finale, una parte del mondo alpinistico definirà Maestri un bugiardo, sostenendo l’impossibilità della scalata nel suo tratto finale. Esasperato dalle accuse, Maestri ritornerà nel 1970 al Cerro Torre con un compressore del peso di cento chili piantando 360 chiodi in parete sulla stessa montagna, fermandosi prima del fungo di ghiaccio e distruggendo gli stessi chiodi durante la discesa per impedire agevolazioni a eventuali ripetitori. Messner, tra gli altri, non gli ha mai creduto e nel 2019 ha realizzato un documentario sul Cerro Torre rinfocolando le polemiche – mai cessate – dopo aver già dedicato alla storia un libro Grido di pietra (trasformato in film da Werner Herzog). Rimarrà uno degli enigmi irrisolvibili dell’alpinismo.

Nel settembre del 2000 Maestri è stato ospite in Carnia a Givigliana e ha tenuto una conferenza partecipatissima davanti ad un pubblico di appassionati e ammiratori saliti nella piccola frazione nonostante il maltempo: ne resta un bellissimo ritratto del compianto Paolo Bizzarro pubblicato, alcuni anni fa su queste pagine. —


 

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