L’immagine oltre la realtà: a Udine in mostra il mondo di Evaristo Cian

L’esposizione “Di segni e di segnali“ dal 21 giugno al 19 luglio alla galleria La Loggia. «i segni sono i tratti del mio fare arte, i segnali sono riflessioni, indicazioni, certo non istruzioni per l'uso della vita»

Nicola Cossar
Una delle opere in esposizione alla galleria La Loggia di Udine
Una delle opere in esposizione alla galleria La Loggia di Udine

I suoi segni sono segnali, i suoi disegni e i suoi dipinti ci conducono nei colori della vita, di uomini e animali, di tanti ultimi senza voce eppure mai dimenticati, di una natura devastata ma resistente.

Un mondo altro ma ugualmente reale quello di Evaristo Cian, che Maristella Cescutti, la signora della Loggia, ospita da sabato 21 giugno al 19 luglio, felice di riabbracciare un artista tanto singolare quanto apprezzato per una personale intitolata proprio “Di segni e di segnali”: ne illustrerà le opere, che vanno dal 2020 al 2025, il critico Lorenzo Nuovo.

Maestro, è vero che pittori si nasce?

«Non sono così categorico, almeno nell'arte. Posso dire soltanto che dipingevo già da bambino. Amavo molto il disegno, volevo fare mio tutto quello che vedevo, come gli oggetti domestici dei nonni Milia e Meni, e poi scarabocchiavo tutti i libri, tanto che quando li passavo ad altri nessuno li voleva! Negli anni di scuola ho fatto il ritratto a molti compagni: soltanto con uno non ci sono riuscito, con Sabbadini di Pieris, che non me l'ha mai perdonato. Son ricordi lontani, però ogni tanto emergono, serenamente».

Tra le sue frequentazioni ci sono nomi molto importanti: Vedova, Zigaina, Colò, Mocchiutti, Altieri...

«Da Vedova ho imparato molto nei due anni che ho frequentato il suo atelier veneziano di Dorsoduro. Zigaina è stato un vero amico per decenni, mai generoso di complimenti, però mi disse: “Chi non sa disegnare non è un pittore. Tu sai disegnare”. Un giudizio che mi è rimasto nel cuore».

E gli altri?

«Cesare Mocchiutti è stato un caro amico, come lo è da sempre Sergio Altieri. Però mi sia permesso ricordare qui Aldo Colò, uomo e pittore stupendo, l'unico di quelli che ho conosciuto sempre presente alle mostre degli artisti della nostra regione».

I suoi quadri, anche alcuni che ammireremo nella nuova personale alla Loggia, hanno un qualcosa di misteriosamente inquietante...

«L'artista deve provocare, stupire alle volte, far riflettere sempre. Comunque, il titolo della mostra parla chiaro: i segni sono i tratti del mio fare arte, i segnali sono riflessioni, indicazioni, certo non istruzioni per l'uso della vita. Far pensare. Un lusso ai nostri giorni».

Nelle sue passate stagioni cominciate nel 1972 al Torchio di Gorizia, interrotte a lungo e riprese nel 1989 con una mostra aquileiese presentata da Zigaina, c'era molto spesso anche un messaggio politico, di lotta alle ingiustizie, di denuncia quasi militante. Qui non vediamo più niente del genere.

«Verissimo! La politica è stata una mia passione ideale, con la “p”, maiuscola, oggi invece vedo soltanto cose con la “p” minuscola. Sono disamorato, per usare un eufemismo. Preferisco parlare di politica soltanto con ritrarre un uomo che abbia i pantaloni rotti. Ma rotti non per la moda, bensì perché non ha i soldi nemmeno per comperarsene un altro paio. Un perdente vincente. Oggi, dopo 50 anni di mostre, sono questi i miei eroi “politici”, nessun altro».

Forse i suoi binari creativi sono cambiati?

«No, mai. Ho sempre avuto quattro motivi conduttori: i ritratti, i paesaggi, gli animali e le donne. Dei ritratti ho già detto e delle donne posso dire che non cerco la bellezza canonica, ma un taglio del viso particolare e l'“impronta” degli occhi, da cui inizio: sono lo specchio dell'anima, non si sbaglia mai».

Nei paesaggi c'è molto Friuli, molta Bassa, non soltanto la sua Ruda.

«Amo la campagna friulana, in ogni stagione. Chi mi conosce sa che prediligo i gelsi, i morârs in friulano, tenaci quasi come gli ulivi, signori solitari in mezzo ai campi. Ecco, se vogliamo, un altro segnale. E poi tanti paesaggi con alberi e vigne, tutti caratteri forti di questa nostra amata terra».

Sappiamo che lei ha un rapporto molto particolare con gli animali, anche nei nomi che ha dato loro...

«Ho dipinto spesso i miei cani, ai quali ho sempre dato nomi speciali, importanti, come Gerson (campione brasiliano di calcio) o Tito (Josip Broz). E poi c'è il nostro Gregor (da Kafka), amatissimo e indimenticato corvo ammaestrato e gentile, sempre presente in casa Cian. Pensi che a pranzo e a cena stava a tavola con noi: mangiava nel suo piatto... e anche nei mio! Era uno di famiglia».

Siamo di fronte alla costante di una pittura figurativa, eppure qui si vede un mondo altro, crudo forse ma sincero, antico e futuro, capace di riportarci a quel “come eravamo” che abbiamo buttato. E così?

«Sì, è proprio così. Non devo e non voglio insegnare niente a nessuno, però il mio segno indica un preciso, umile ma fiero percorso che va ben al di là e al di fuori del dipinto. Il caro Aldo Colò mi disse che gli piacevano i miei lavori perché, pur essendo un figurativo, ero un creativo che “ricostruiva” situazioni viste e talvolta vissute, un po' come le invenzioni dal vero di Guareschi. Fatte le debite e rispettose proporzioni, ovviamente. Rimane il più grande complimento che potessi ricevere».

Insomma, il mondo di Cian non è distopico, nostalgico o ideale, è il mondo che molti di noi vorrebbero: pacifico, giusto, coraggioso, umano. 

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