Max Angioni sul set con Abatantuono: «Non mi avevano detto che avrei recitato nudo»

Giovedì esce nelle sale Esprimi un desiderio, di Volfango De Biasi, girato in Friuli. Il comico comasco: «Tra frico e vino, dopo cinque settimane qui ho fatti gli esami del sangue»

Gian Paolo Polesini
Max Angioni sul set in Friuli assieme a Diego Abatantuono
Max Angioni sul set in Friuli assieme a Diego Abatantuono

«Nessuno me l’aveva detto, caspita: “guarda che reciterai nudo”. Una scena basta a rovinarti la reputazione. Io in quel periodo me l’ero giocata in cucina, capisci, e ho preso sei chili e pure il sole. Con un segno evidente».

Non è solamente questo il cruccio primario di Max Angioni, il comico comasco che si è pigliato con merito la ribalta di un’Italia dove c’è ben poco da ridere, pure la tavola friulana l’ha inchiodato. «Tutto strabuono, per carità, ma il frico e il vino, se ingurgitati in discreta quantità, ti stendono. Cinque settimane siamo stati qui: mi è sembrato saggio fare gli esami del sangue».

Angioni è transitato dal talent, dove fece il boom con “Gesù e l’open bar”, al cinema con al fianco Diego Abatantuono, the King of the comedy. Un salto in alto da record.

Uscirà giovedì 25, nelle sale della Penisola, “Esprimi un desiderio” di Volfango De Biasi, film girato in gran parte alle porte di Udine con lo sguardo amichevole della Film Commissione Fvg. E con la coppia Angioni-Abatantuono in primo piano a duettare nell’opera-favola dai toni giocosi perlopiù girata a Clauiano, borgo del Friuli «che abbassa la tensione — spiega Max — quel posto ha un effetto davvero zen. Per chi come me vive a Milano, sorseggiare la pace e il silenzio non ha prezzo. Poi la sera mi trasferivo in città: avete un centro storico magnifico».

Giusto per offrire a lor signori un assaggio della storia, vi diciamo che lo scontro generazionale è un comune denominatore della trama scritta a più mani, Angioni compreso. Simone è un orfano e non se la passa da Dio. Ormai ragazzo inciampa in un guaio tale da costringerlo ai servizi sociali in una casa di riposo di un certo lusso. L’incontro con Ettore, burbero signorotto depositato colà dal figlio, lo aiuterà a uscire dall’impasse di un’esistenza alla carlona. Il succo è filtrato dal film francese “Il peggior lavoro della mia vita” ed è ovviamente tradotto con accenti tipici nazionali. Il cast esprime la forza di attori che la storia l’hanno fatta: Giorgio Colangeli, Nini Salerno, Maria Grazia Cucinotta e Marco Messeri, oltre a Herbert Ballerina e alla bellissima Neva Leoni.

Com’è stato il primo ciak?

«Dato per scontato che il mio pregresso è il teatro, luogo ormai alleato dove più o meno conosco i tempi e i movimenti da compiere, il set è un’altra faccenda, ma proprio un’altra. Lo sforzo massimo, o meglio l’imposizione iniziale, è stato quello di mantenere la stessa naturalezza del palcoscenico per non stravolgere la genuinità del gesto. Il problema è che al cinema sono ben presenti una camera, una regia, posizioni particolari, sguardi diversi. Venendo al ciak mi sono reso immediatamente conto della potenza della macchina cinematografica. Così ho sbattuto contro la prima battuta, peraltro facile facile, nulla d’impegnativo: dovevo entrare e chiedere del direttore. L’ho detta dodici volte. E pensai, un po’ avvilito: ma quanto sono scarso? Il miglioramento è arrivato, per fortuna».

Abatantuono si è comportato da buon padre?

«Mi aspettavo una star giusto quel minimo supponente e sono partito in soggezione. Al contrario Diego è un uomo molto generoso. Adesso siamo finiti che se io vado a Riccione e non passo a salutarlo, s’incazza. Ecco. Aggiungo la sua mostruosa capacità di reattività: cambia battute in corsa, inventa cose, pazzesco. Mi ha solo rimproverato di non aver visto i film cult della commedia all’italiana. Cercherò di colmare la lacuna».

Ora entriamo in un affare più delicato: gli anziani, che poi è il gruppo forte del film, come sono accolti da voi giovani?

«Non sono proprio giovanissimo, ho trentacinque anni…».

Giovane…

«Okay. Non vedo l’anziano inserito in una categoria, guardo le persone. Non amo fare un confronto generazionale».

E i suoi coetanei?

«Generalizzare non mi piace. Anziani è un termine che non riesco a gestire. Mi fa specie quando qualcuno con tanta esperienza addosso, meglio dire così, parla del suo passato e racconta che è riuscito ad acquistare la casa in centro a Milano. Oggi se uno di noi volesse emularlo dovrebbe lavorare per 125 anni, secondo ricerche precise. Entrare in un appartamento ultracentenario non mi pare una gran figata».

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