Marcello Simoni: «Avrei voluto scrivere il Signore degli anelli»
Il maestro del giallo storico giovedì a Porcia per Fuoricittà. «Un genere che unisce mistero e passato»

Autore bestseller da milioni di copie, vincitore del Premio Bancarella e riconosciuto come uno dei grandi maestri del giallo storico italiano, Marcello Simoni sarà protagonista giovedì, alle 18, nella barchessa di Villa Correr Dolfin, a Porcia, per la rassegna pordenonelegge Fuoricittà_Autunno. Presenterà il suo nuovo romanzo, “L’eredità dei gattopardi “(Newton Compton), secondo capitolo della saga ambientata nell’Italia normanna del XII secolo, tra congiure, assassinii e segreti di famiglia. Lo abbiamo intervistato, per parlare di storia, mistero e scrittura.
Il romanzo si apre nell’Anno Domini 1130, giorno di Natale, con l’incoronazione di Ruggero II di Altavilla. Perché ha scelto questo momento storico?
«Il Medioevo è un mare in cui torno sempre a navigare, ma cerco rotte insolite. L’età normanna è una cerniera fra culture: la latinità occidentale, l’eredità bizantina, il mondo islamico che dalla Spagna e dal Nordafrica raggiunge la Sicilia. È un crocevia di civiltà apparentemente antitetiche che però dialogano. Raccontarlo significa dare voce a un Medioevo diverso, più complesso e vitale. E ricordare che in quel periodo si fondano le basi della storia della Sicilia e dunque dell’identità italiana».
Come mescola fatti storici documentati e pura invenzione?
«Mi muovo nel solco tracciato da Walter Scott e Manzoni: rispetto la verità storica, ma costruisco sopra di essa un intreccio di finzione, cercando quello che Manzoni chiamava “il vero poetico”. I miei personaggi forse non sono esistiti, ma avrebbero potuto esserci davvero. È un gioco di equilibrio tra verità e verosimiglianza, con in più la necessità di inserire l’elemento giallo: il mistero diventa il motore che muove la Storia».
Il giallo storico sembra vivere un nuovo successo. Perché, secondo lei?
«Perché unisce due passioni universali: quella per il mistero e quella per il passato. L’indagine, la caccia all’assassino, rende la narrazione più dinamica e popolare, avvicinando lettori che magari non leggerebbero un romanzo storico “puro”. In fondo, il giallo storico non toglie nulla né al giallo né alla storia: li amplifica entrambi. È un genere con una marcia in più, e ho scoperto che piace anche a chi di solito frequenta il fantasy».
Fra i grandi temi del romanzo – famiglia, potere, tradimento, guerra – quale la affascina di più?
«Sono tutti specchi dell’animo umano. Mi interessa mostrare come, dietro le armature e i castelli, batta un cuore simile al nostro. Cambiano i secoli, ma non i sentimenti: amore, ambizione, desiderio di giustizia o di vendetta. In questo senso, raccontare il passato serve a capire meglio il presente».
Lei è tradotto in una ventina di Paesi. Nota differenze nelle reazioni dei lettori?
«Sorprendentemente poche. Le stesse domande, le stesse curiosità mi arrivano da lettori di varie provenienze. La verità è che le emozioni e il bisogno di storie sono universali. È la prova che certi archetipi, certe passioni, attraversano ogni confine.»
Questo è il secondo volume della saga dei Gattopardi. Sta già lavorando al seguito?
«Sì, sto scrivendo il terzo, che uscirà molto presto. È come costruire un unico grande romanzo in più tappe. Mi piace vedere i personaggi crescere, cambiare, maturare nel tempo. È una soddisfazione profonda, un viaggio lungo dentro la mia stessa narrazione».
C’è un romanzo, storico o no, che avrebbe voluto scrivere?
«Il Signore degli Anelli. Lo considero un romanzo storico, in un certo senso: Tolkien vi applica la precisione del filologo e il rispetto per le culture antiche».
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