Lungo le vie d’acqua e tra le montagne: ecco le cattedrali friulane dell’energia

Fotografie, immagini, disegni storici, rilievi di architetture e dettagli costruttivi, in un libro che testimonia il grande valore architettonico e ambientale delle “cattedrali dell’energia”: le centrali idroelettriche della nostra regione. Francesco Chinellato e Livio Petriccione raccontano una straordinaria e importante vicenda, mettendo al centro il ruolo di quei manufatti che, con l’innovativa produzione dell’energia idroelettrica, hanno contribuito allo sviluppo della nostra comunità regionale e più in generale del nostro paese.
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Lungo le vie d’acqua, nel tempo, si sono insediate molte attività, artigianali prima e industriali poi che hanno sfruttato proprio l’elemento dell’acqua sia come materia prima per la produzione che come fonte di energia: filande, filatoi, lanifici, zuccherifici, cartiere, mulini, centrali idroelettriche, oltre ad impianti e opere di ingegneria idraulica per il controllo e il governo fluviale.
Frutto di una ricerca Prin (Progetto di ricerca di rilevante interesse nazionale) ’Vie d’acqua e ambiente costruito’ è un’indagine per molti versi unica, un’opportunità importante per conoscere e approfondire il tema delle centrali idroelettriche della seconda rivoluzione industriale, poco indagato nel nostro territorio. I
n questo contesto particolare importanza assumono nell’Italia settentrionale e anche in Friuli Venezia Giulia le centrali idroelettriche, costruite in Italia fra i secoli XIX e XX, patrimonio di grande rilievo sia dal punto di vista tecnico-architettonico sia per il loro inserimento in ambienti, quasi sempre, di notevole valenza paesaggistica.
L’inserimento nel territorio delle opere idrauliche costituì dal punto di vista architettonico un tema di grande impegno e, pur essendo sempre rilevabile in filigrana l’insegnamento di alcuni capiscuola quali Cattaneo, Boito e Moretti, venne affrontato attraverso le declinazioni di molteplici culture progettuali, dall’eccletismo al liberty al classicismo al modernismo e con riferimenti più o meno espliciti ad altrettanto variegate tipologie: le ville toscane o lombarde, i palazzi signorili, i castelli.
Quest’aspetto che è uno dei tratti di maggiore originalità dell’esperienza italiana è stato messo in luce per alcune opere realizzate all’inizio del ventesimo secolo sul fiume Toce, oppure sul lago Maggiore e sul lago d’Orta, mentre mancano indagini al proposito relative alla nostra regione.
Al loro esordio, le strutture idroelettriche rappresentarono l’esito di una nuova conquista dell’uomo e contemporaneamente una sfida alla natura che si attuava con sforzi titanici delle imprese e delle maestranze, con tecnologie innovative e impiego di ingentissimi capitali. In molti casi il valore architettonico e culturale emerge dal contrasto che progressivamente si instaura fra tradizione e modernità, fra natura e artificio che conduce infine alla ricerca di una deliberata rottura con i canoni espressivi precedenti.
Le realizzazioni idroelettriche diventarono quindi terreno di sperimentazione. Possiamo pensare alle centrali idroelettriche come “nodi” in cui convergono fisicamente la rete viabilistica, quella idraulica delle condotte e dei canali e quella delle linee di trasporto dell’energia elettrica, ma queste reti sono connesse anche a livello funzionale ed economico a quelle industriali e commerciali, nonché alle reti immateriali di tipo aziendale e finanziario.
Così ai primi del secolo la trasformazione del territorio andò di pari passo con la formazione, l’espansione e la concentrazione delle società elettriche che si collegavano in unità interrelate in grado di controllare vaste aree di mercato.
Definite le dinamiche generali del settore, il libro esamina con particolare attenzione le centrali realizzate ai primi del’900 lungo l’asta del Cellina (Malnisio, Gias, Partidor), collegate fra loro dall’essere state concepite funzionalmente’in cascata’e con un ruolo territoriale determinante, sia all’epoca della costruzione che in seguito. Mentre Giais e Partidor risultano in stato di abbandono, la centrale di Malnisio è stata restaurata e riconvertita a un uso museale e polifunzionale.
Tutti i capitoli del volume sono redatti a partire da rilievi diretti sui manufatti e dallo studio della documentazione scritta, grafica e fotografica reperita dalle fonti bibliografiche e di archivio.
Le altre schede delineano una panoramica di un patrimonio edilizio (centrali di San Foca, Somplago, Buia, Cividale, Vedronza, Rive D’Arcano, Fagagna, Udine, Caneva, Cavolano, Cordenons, Pasiano di Pordenone, Pordenone) che ha unito la funzione produttiva a quella di presidiare ed espandere i territori di influenza delle aziende elettriche o degli enti cui faceva riferimento.
La ricerca segue quindi l’attuale tendenza alla ri-scoperta e valorizzazione integrata del patrimonio architettonico oltre l’ambito del singolo manufatto, per comprendere in senso più vasto l’insieme delle tracce materiali che offrono testimonianza delle culture locali.
Tracce che devono poter essere lette e percepite come insieme, ovvero come sistema in cui siano resi espliciti ruoli, funzioni e significati dei singoli interventi antropici, infrastrutturali, produttivi o connessi all’abitare.
Viene quindi messo in luce come, in prospettiva futura sia necessario definire la rifunzionalizzazione di questi beni beni attraverso una serie di criteri basati sulla loro accessibilità e visibilità, sulla loro consistenza e valore testimoniale e sulla reale possibilità di inserimento nel contesto fisico e sociale. —
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