Loris Fortuna leader sempre, in Friuli e a Roma

Il suo carisma sovrastava le beghe partitiche. Fu il terminale di tutte le decisioni di peso

Il primo impatto con il nome di Loris Fortuna avvenne in un negozio di barbiere. Sul tavolino faceva bella mostra “ABC”, quello che allora veniva indicato come un giornale scandalistico, solo perché spesso in prima pagina aveva le foto di attrici in bikini.

Messo all’indice dalle curie di tutta Italia, risultava ancor piú pericoloso in Friuli perché spesso le sue pagine ospitavano articoli riguardanti la campagna per il divorzio portata avanti proprio dal friulano Fortuna.

Non so se le percentuali con cui poi, nel 1974 proprio Udine risultò tra i capoluoghi dove maggiore fu la vittoria al referendum, fosse legata a questa “perniciosa” lettura; certo è che quel settimanale, cui collaborava un’altra friulana, la scrittrice tarcentina Bruna Sibille Sizia, svolse un ruolo non indifferente nella propaganda per l’approvazione della legge.

Del resto qualsiasi atto, ogni presa di posizione di Fortuna provocava nella sua città e nel suo piú vasto collegio elettorale, reazioni opposte, ma di sicuro non passava inosservato.

Ed era un legame cui il parlamentare teneva, quasi a rimarcare non solo le sue origini, i luoghi della sua formazione politica, ma soprattutto per dimostrare di non essere un figlio “ingrato” e anche per affermare un suo particolar modo di essere utile alla collettività che puntualmente lo riconfermava a delegarla nelle stanze del potere.

Ne aveva fatta di strada “enfant terrible” della sinistra friulana, prima osannato dal Pci e poi, dopo i fatti d’Ungheria e la sua scelta socialista, bollato come traditore, proprio lui che, come avvocato, ne aveva difesi tanti di compagni in qualità di legale di fiducia della Camera del lavoro di Udine e della Federterra.

L’ideologia non era a quei tempi un optional, ma i fatti del 1956 non avevano che accelerato un processo, un distinguo sempre maggiore tra la concezione libertaria di Fortuna e il ferreo centralismo togliattiano. La famosa doppia tessera, l’amicizia fraterna con Pannella e le battaglie radicali ne furono le successive conseguenze.

Uno spirito libero dunque: partigiano dell’Osoppo, scampato alla fucilazione, una lapide al carcere di Gorizia ne ricorda da una decina d’anni la prigionia, poi il campo di concentramento e il dopoguerra.

“Zebe” di Giacinto, compianto titolare della vecchia osteria “Alla Tavernetta” in via di Prampero, il suo “uomo all’Avana”, come affettuosamente lo definiva Fortuna, ricordava cosí quel periodo: «Loris era il piú giovane tra gli ex partigiani, il piú mingherlino. La sera, quando andavamo in cerca degli ex repubblichini, mandavamo lui in avanscoperta. Entrava nei bar cittadini dove erano soliti trovarsi e li sfidava, poi usciva. Questi, pensando fosse solo e indifeso, gli si precipitavano dietro, ma trovavano noi ad aspettarli e sistemarli per le feste».

Un legame forte con la sua base, un rapporto che non volle mai interrompere anche quando divenne famoso e importante, anzi. Nei congressi, proprio per il ruolo nazionale che esercitava, quasi per convenzione, una quota, che variava a seconda del momento politico e degli accordi, era destinata alla “sua” corrente. Piccola, quasi simbolica, ma in grado di influenzare le maggioranze.

Il peso di Fortuna nelle vicende friulane non si deve però a questa valenza interna al Psi, ma al ruolo naturale di rappresentante delle istanze che da qui nascevano. Tutte le principali leggi nazionali che ci hanno riguardato, da quella del terremoto, all’università, alla difesa della lingua, l’hanno visto partecipe. Di piú: era lui l’elemento indispensabile per raggiungere l’unità dei partiti per farle approvare: il terminale politico e istituzionale di peso e carisma.

Il suo ultimo comizio si tenne in occasione delle elezioni comunali udinesi nel maggio del 1985. Chiuse la campagna elettorale alla mezzanotte in borgo Grazzano, davanti al Marinaio, sancendo l’alleanza con la lista del “Morar”, la civica autonomista, che si era presentata alle precedenti votazioni.

Una scelta politica che riaffermò con la presentazione al congresso provinciale di una mozione in cui intravvedeva un partito socialista friulano federato con quello nazionale. Lui ci credeva, in troppi invece no e tutto restò nei verbali.

«Che non rompesse troppo in Friuli» era il commento sussurrato in privato dai leader locali del partito. Un fiore all’occhiello dunque, da esibire, un nome da citare nelle assemblee, una personalità da ossequiare a patto che poi riprendesse la strada per Roma o Milano.

Verrebbe da descriverlo, parafrasando il famoso film di Pietro Germi, come un “divorzio alla friulana” dove tutti sanno e tutti accettano, per mantenere lo “status quo”. Fortuna, forse, si stava preparando a combattere anche questa battaglia contro l’ipocrisia, in nome di quella libertà di pensiero per cui aveva sempre lottato.

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