Lorenzo Cremonesi: «Ci siamo illusi che questa guerra non ci appartenesse»

L’inviato in Ucraina oggi in video a “Tolmezzo vie dei libri”: «Il potere di Putin traballa, il pericolo nucleare è reale»

Mario Brandolin
Lorenzo Cremonesi con il suo libro “Guerra infinita”
Lorenzo Cremonesi con il suo libro “Guerra infinita”

UDINE. Lorenzo Cremonesi, inviato di guerra del Corriere della sera sarà il primo luglio, alle 21, in collegamento video al festival “Tolmezzo vie dei libri”. Doveva essere presente nel capoluogo carnico, ma i recenti sviluppi della guerra in Ucraina lo hanno richiamato sul campo.

Al centro del dialogo con Leonardo Bizzaro l’ultimo libro del giornalista milanese “La guerra Infinita. Quarant’anni di conflitti rimossi dal MedioOriente all’Ucraina”, in cui Cremonesi racconta i conflitti che in questi decenni hanno insanguinato il pianeta in quello che lui stesso ha definito «un lungo viaggio, dall’Italia cosparsa dalle macerie dei conflitti mondiali alle mobilitazioni del ’68 e alle violenze degli “anni di piombo”, dall’Israele segnato dal conflitto del Kippur conosciuto da ragazzo sino ai fronti più caldi tra il Medio Oriente e l’Afghanistan, al terrorismo, alle repressioni di brutali regimi dittatoriali, al precipitare di Siria e Libia nel caos dopo le primavere arabe.

Raggiunto telefonicamente due sera fa lo credevamo a Kiev invece, «sono nella cacca – esordisce – letteralmente, perché sono a Kherson, la più importante città occupata dai russi dove c’è la cacca del fiume Dnepr che sta tracimando dopo che i russi hanno fatto saltare la diga di Nova Kakhovka, ed è conclamato che sono stati loro. L’acqua ha portato con sé di tutto e di più, allagando i quartieri lungo il fiume. E poi c’è la cacca politica con tutto quello che sta succedendo in questi giorni, dopo che è iniziata la controffensiva ucraina. Una città continuamente bombardata dai russi, anche oggi sono stati colpite due persone e altre due ferite gravemente mentre stavano cercando di spostare un grosso automezzo per far defluire le acque del fiume marce sporche inquinate».

Di questa guerra quanto c’è nel suo libro?

«Questo è il libro della mia vita. E non è un libro sull’Ucraina, anche se la guerra tra Kiev e Mosca è come una sorta di ciliegia sulla torta, nel senso che prova la tesi di fondo del mio libro».

E cioè?

«Noi europei occidentali, figli del dopoguerra, ci siamo illusi che la guerra non ci appartenga per nostra fortuna, guardiamo con sufficienza ai baluba che la fanno, ma in realtà la guerra, noi inconsapevoli, ha sempre dominato il nostro orizzonte, ha creato il nostro mondo che pensavamo dominato dalla pace quando invece era dominato dalla politica di potenza determinata da altri, la Nato, gli Usa, come la guerra fredda, ad esempio. Per cui se poi non conosciamo la guerra, finiremo col subirla. Perché è questo che sta accadendo con l’Ucraina. E questa è la tesi di fondo del mio libro».

Questo cosa comporta?

«Che dobbiamo imparare a difenderci, si badi bene che non sono un guerrafondaio, ma le cose che possiamo capire dal conflitto in Ucraina portano proprio a questo, alla consapevolezza che, così come è accaduto lì, possiamo trovarci di fronte a situazioni per noi sinora sconosciute, che mettono in pericolo la nostra libertà, le conquiste della nostra democrazia (per inciso non penso solo a Putin ma anche alla Cina), che dobbiamo saper fronteggiare e la difesa è una delle risposte».

Una consapevolezza che Cremonesi ha sviluppato attraverso i molti teatri di guerra che ha raccontato.

«A partire dalla mia esperienza giovanile in Israele, dove come molti altri ragazzi della mia età ero andato per studiare e vivere l’atmosfera socialista e ideale del Kibbuz e mi sono scontrato con la guerra del Kippur».

Ma quando questa idea ha preso veramente corpo?

«Era il 2016 a Sirte si stava combattendo contro il califato, battaglia vinta dalle forze di Misurata grazie al massiccio intervento degli americani e io arrivo lì, una cosa mi colpisce e mi apre gli occhi, una gigantesca scritta dell’Isis in arabo: da qui conquisteremo Roma. Ecco per dire che noi europei abbiamo sottovalutato molto i pericoli che le guerre intorno a noi stavano alimentando. E non concepiamo più di morire per un valore. Come invece ha fatto Zelenski, che due giorni dopo l’inizio dell’invasione russa, ha rifiutato le proposte degli americani di portarlo in salvo all’estero, dicendo no, io muoio qui, ma non prima di aver tentato la resistenza. E in quel momento io mi sono innamorato degli ucraini, del loro voler combattere per difendere la loro libertà, la loro voglia di essere Europa, prima ancora che Nato».

E allora che cosa distingue questa guerra dalle altre che hai vissuto e raccontato?

«Perché è una guerra convenzionale, tra eserciti che si contendono le frontiere. E che mi riporta ai racconto dei miei genitori e nonni sulle due guerre mondiali, le ultime che abbiamo vissuto e, come quelle che si sono susseguite attorno a noi, rimosso».

Come andrà a finire?

«Premesso che sin dal marzo scorso, poche settimane dopo l’inizio della guerra, a fronte della volontà di resistenza degli ucraini mi sono convinto che i russi la guerra l’hanno già persa, e che non la determinano più, anzi la inseguono, non mi sento di escludere che Putin, il cui potere è traballante, possa fare qualcosa di sporco. Tipo l’uso delle atomiche». —

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