Angelo Floramo e le vite nei campi: un viaggio nelle storie da salvare

Lo scrittore friulano ci fa immergere in vicende di terra, uomini e bestie. Il 2 luglio la presentazione in Corte Morpurgo a Udine

Martina Delpiccolo
Lo scrittore Angelo Floramo: è in libreria in suo nuovo libro, che viene presentato il 2 luglio a Udine
Lo scrittore Angelo Floramo: è in libreria in suo nuovo libro, che viene presentato il 2 luglio a Udine

“Vita nei campi. Storie di terra, uomini e bestie”, da ascoltare alla radio e ora da leggere e da rivivere nell’ultimo libro di Angelo Floramo, edito da Bottega Errante. «Ci siamo cresciuti in tanti, ascoltando alla domenica mattina quella sigla rusticana, fischiettante e felice, un marchio di garanzia».

Così Floramo ricorda la nota trasmissione della Rai, come radioascoltatore, quando la seguiva insieme al nonno nella casa contadina in cui era cresciuta nonna Ljuba. Mentre dalla cucina veniva il profumo del ragù oleoso, il nonno, col vestito di festa, canticchiava la sigla «che gracchiava da una vecchia radiolina» e ascoltava sapendo bene che «ciò che viene dalla terra, torna alla terra». Voce storica della trasmissione è Armando Mucchino, che Floramo definisce il mugnaio «dall’accento inconfondibile, terrigno, pastoso». È stato lui a volerlo in “Vita dei campi”.

Così dal 2021 Floramo è passato dall’altra parte, con cuffie e microfono. «Angelo con la sua cultura e saggezza sa navigare in questi campi – scrive Mucchino nella postfazione al libro – . Conosce i porti di partenza e sa giudicare se gli approdi sono sicuri, sa portarci per mano lungo i sentieri della storia». Il tempo del libro è quello della Luna, che scandisce i ritmi della terra e indica il momento propizio per tagliare i capelli o falciare l’erba.

Un viaggio nelle storie da salvare, nella ciclicità che va dall’Epifania, quando si benediceva il sale e si aggiungeva l’acqua santa al “paston” delle bestie, fino al Natale, quando “Jesubambin” si pronunciava così, come fosse una sola parola. Con umanità intrisa di saperi e sapori, Floramo attraversa equinozi e solstizi, il mistero della vita e della morte, la ritualità in benedizneiioni, purificazioni, processioni. Ci fa assaggiare “i cjarsons”, la cui forma ripiena a mezzaluna rievoca la fecondità del grembo femminile. Ci porta sulla soglia del pollaio a scovare uova con “lo sbit”, sigillo di garanzia della genuinità. Ci fa venire il dubbio: usare le erbe per frittate da urlo o per misteriose alchimie e ritualità antiche?

Una volta, c’era il tempo grasso e profano, il Carnevale, e il tempo magro e sacro, la Quaresima. Nulla andava sprecato. C’era chi si curava accendendo un cero e chi riempiendo un bicchierino di grappa. E, si sa: «la medicina va mandata giù tutta». Nel libro incontriamo Sant’Antonio e “il purcit”, Sant’Agnese, “Signora degli Agnelli, San Biagio e San Biagino, quasi omonimi, protettori della gola.

E poi San Remigio che suonava la prima campanella di scuola per “remigine e remigini”; San Martino che chiudeva i lavori agricoli, e l’immancabile “Sante Scugne”. Ma è anche un libro di figure reali che avremmo voluto salvare: “il purcitâr”, descritto da Bartolini, “il vetrinari”, che non portava il camice bianco ma era di casa per vacche e cavalle, “il cjalçumit” (una specie di raccattaferro) che passava col carretto, il fedâr (casaro), “il pescjecrot (letteralmente: pescatore di rane). Udiamo il canto del “mus”: “il Kyrie Eleison Asini” intonato dai presbiteri fino al Duecento.

Ascoltiamo parole in estinzione: “la giulugne” (brina), “la lissie” (lisciva). Annusiamo odori intraducibili come “freschin”. Intercettiamo connessioni etimologiche: “mater” e “materia”, aggrappate alla stessa radice. Lo stupore stava nella nascita di un vitellino e nelle lucciole, come fate, che parevano capovolgere il cielo in una fiaba mentre si correva «a briglia sciolta» dentro un prato di notte. Tutto quello che serviva era a portata di mano, in luoghi-contenitori: la credenza dipinta, “anima della cucina”; “il camarin” o “stanza degli appesi”, “il cjast”, pancia del granaio, la cantina, alito della terra; e poi l’orto, “il cjôt” e la stalla.

Per quel poco che mancava c’era “la buteghe”. «La campagna è una dimensione dello spirito», scrive Floramo, perché «generazioni contadine sono vive dentro di noi». Terra come “memoria collettiva”. «Questo libro è un buon portolano»: così afferma Mucchino, che dialogherà con l’autore il 2 luglio alle 20.30 in Corte Morpurgo a Udine e venerdì 4 luglio alle 21 a Cjase Cocèl a Fagagna. 

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