L’omaggio a Gaber di Gioele Dix: «Il suo sguardo sul mondo»

L’attore celebra il cantautore milanese: «Era leggero, ironico, mai allineato»

Mario Brandolin
Gioele Dix porta in regione lo spettacolo dedicato a Giorgio Gaber
Gioele Dix porta in regione lo spettacolo dedicato a Giorgio Gaber

Son passati vent’anni dalla sua scomparsa, eppure Giorgio Gaber continua a nutrire l’immaginario di molti artisti, che in questi anni si sono cimentati con la sua opera e di coloro, e sono tantissimi anche nella nostra regiolne, che lo hanno amato, ammirato, seguito, cantato le sue canzoni e condiviso le sue opinioni sempre puntali, acute, critiche e molte volte dichiaratamente controcorrente.

In questa stagione è la volta di Gioele Dix che porta in regione sabato 16 marzo, a Casarsa, il 17 a Muggia e poi il 6 aprile ad Artegna e il 7 a Forni di Sopra, “Per fortuna che c’era il Gaber”, un monologo da testi e canzoni, alcuni anche inediti di Gaber e del suo amico e sodale Sandro Luperini con l’accompagnamento musicale al pianoforte di Silvano Belfiore (quello di Fratelli di Crozza) e Savino Cesario alla chitarra.

“Per fortuna che c’era il Gaber” è solo un’iperbole, un titolo ad effetto oppure nasconde qualcosa di più profondo e significativo?

«Intanto è la citazione di una sua canzone degli esordi, una canzone da trani come si chiamavano allora le osterie popolari sui navigli in quel di Milano: Ma per fortuna che c’è il Riccardo che da solo gioca al biliardo, non è di grande compagnia ma il più simpatico che ci sia. Citazione doverosa, visto che da lì è cominciata tutta l’avventura artistica di Gaber. Da cantautore un po’ rocker un po’ melodico a quel potente narratore del presente che diventerà col suo teatro canzone. Ma al di là della citazione, ho voluto sottolineare quanto Gaber sia stato importante con il suo sguardo su quello che succedeva nel mondo, alle persone, alle loro fragilità, ai loro sentimenti e anche alle contraddizioni della vita sociale. Ci ha detto cose fondamentali senza essere moralista, serioso, tribunizio. Era leggero ironico, mai allineato. E per noi che l’abbiamo amato per fortuna che c’è stato un personaggio così».

Potremmo oggi dire : Per fortuna che c’è il Gaber?

«Lo spettacolo nasce proprio da questo, e da alcuni miei omaggi e incursioni nel mondo gaberiano che ho fatto sin dal 2004, in occasione del primo festival a lui dedicato a Viareggio, poi una tournée nel 2010. Questo spettacolo in fondo ne è la summa: da un lato, senza fare l’imitazione di Gaber, recito e canto alcuni suoi pezzi celebri e conosciuti, ma, grazie alla Fondazione Gaber che mi ha messo a disposizione molti materiali, testi, lettere, pezzi non editi, appunti, lo spettacolo si regge in gran parte su cose mai sentite e viste prima».

Tipo?

«Il rifacimento di un testo, Ora che sono innamorato, che riscrive completamente la fine di una relazione, oppure un esilarante monologo sull’attesa della rivoluzione, di uno che aspetta sempre ottobre e poi a ottobre non succede mai nulla. Poi ci sono due testi che abbiamo deciso di musicare, sempre alla maniera di Gaber: uno sui misteri mai risolti della storia dell’Italia negli ultimi settant’anni e l’altro su personaggi della Tv e della politica, in una sorta di contrasto tra coloro che non ci sono più e altri che sono ancora lì».

Cosa resta allora di Gaber oggi?

«Intanto bisogna dire che non era un allineato e quindi le cose, anche scomode soprattutto per la sinistra cui comunque sentiva di appartenere, le diceva in assoluta libertà. Per questo i suoi pensieri le sue stoccate le sue analisi sono ancora oggi di stringente attualità: come la deriva delle ideologie, la crisi della democrazia, l’ingerenza delle multinazionali e del grande capitale, l’impoverimento del linguaggio, l’indifferenza che ci rende incapaci di arrabbiarci, di protestare, la mancanza di visioni che non siano l’immediatezza di un presente usa e getta e l’enorme melassa in cui siamo immersi. Lui, come ha detto molto volte negli ultimi suoi anni, ha fatto parte di una generazione che voleva cambiare il mondo e ha fallito, non c’è riuscita, ma almeno aveva tentato. Avercene oggi di gente così».

Qualche ricordo personale?

«Si, la prima volta che lo incontrai in un albergo a Mestre, io agli inizi e lui già affermatissimo, mi venne incontrò e mi disse piacere di conoscerti. Per dire di un grandissimo che non se la tirava per niente e con cui poi ci siamo sentiti e visti più volte, anche se non posso millantare di essere stato un suo amico. Per me rimane una leggenda vivente, un maestro».

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