Lo shopping jugoslavo in piazza Ponterosso

La città di Trieste non è solo meta di troupe cinematografiche italiane e straniere per film di fiction, ma è spesso raccontata anche da documentari di produzione locale come “Trieste, Yugoslavia”...
La città di Trieste non è solo meta di troupe cinematografiche italiane e straniere per film di fiction, ma è spesso raccontata anche da documentari di produzione locale come “Trieste, Yugoslavia” (2016), nato da un'idea della triestina Wendy D’Ercole e affidato alla regia di Alessio Bozzer (anche autore della sceneggiatura in collaborazione con Giampaolo Penco e Giuliana Carbi), in programma, a cura della Cineteca del Friuli, al Cinema Sociale di Gemona oggi alle 21.15. Con ritmo vivace e dinamico, un ottimo utilizzo di filmati d'epoca e alcune decine di agili interviste questo documentario riporta sullo schermo un recente passato sintetizzabile in una sola parola: Ponterosso. È una piazza, sul Canale e presso la chiesa di Sant’Antonio Nuovo, nell'antico centro storico della città, che per circa un trentennio, dalla seconda metà degli anni '50 all'inizio dei '90, diventa meta di un singolare fenomeno di massa: lo shopping di centinaia di migliaia di cittadini jugoslavi, i quali, da un paese socialista, venivano in questo luogo di mercato diventato simbolo dell'Occidente e del suo consumismo. Un turismo da shopping non solo da parte di jugoslavi delle vicine Slovenia e Croazia, ma anche della Bosnia o repubbliche più lontane. Che cosa cercava quella folla, giunta in pullman, treno o anche in auto, che ogni sabato si riversava sulle bancarelle di Piazza Ponterosso e nei vicini negozi del cosiddetto Borgo Teresiano adiacente alla stazione? Jeans, prima di tutto. Ci fu un vero boom di vendite di questo articolo che rappresentava per i giovani jugoslavi dell’epoca un vero e proprio status symbol e che, attraverso la Yugoslavia, riusciva a raggiungere anche altri paesi dell'Est europeo. Altri prodotti molto ricercati erano il caffé, capi d'abbigliamento, alimentari, autoricambi, materiale elettrico, orologi, bigiotteria, giocattoli, bambole di plastica in abiti sgargianti che andavano a decorare le camere da letto. Lo shopping a Trieste raggiunse il suo culmine nel 1978, prima delle restrizioni all'esportazione di valuta che sarebbero entrate in vigore pochi anni dopo. Tanti aneddoti, tra cui quelli sugli espedienti e le strategie per superare i controlli doganali, e tante voci: negozianti, doganieri, l'attore Rade Šerbedžija, il musicista Goran Bregović e il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza. Quello che per un lungo periodo, da entrambe le parti, era stato un fenomeno socio-economico molto rilevante si interrompe bruscamente verso la fine di giugno del 1991 con la rapida disgregazione del vicino paese socialista. Un sabato mattina, come racconta un commerciante, le rive e le vicine vie che per circa trent'anni erano state invase da pullman e auto con targa jugoslava apparvero completamente vuote.

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