Martone, il cinema racconta la libertà femminile
Mercoledì 4 giugno il regista napoletano sarà a Udine e a Pordenone per presentare il film “Fuori”: «Goliarda non fornisce un manifesto, ma ci spinge ad aprire la mente»

Vitalità, libertà, amore: sono le parole più frequenti che Mario Martone pronuncia parlando di Goliarda Sapienza e di “Fuori”, il film che ha dedicato alla scrittrice. Perché sullo schermo ha portato senza tradirle le pagine ribelli di Goliarda, sgombre dalle convenzioni dei sentimenti, del desiderio, delle etichette della società.
Non è un film biografico ma, come lo definisce il regista, «un ritratto in movimento di Goliarda Sapienza con le sue creature letterarie, e un film sulle relazioni umane libere. Racconta di amicizia e di amore tra donne, ma non solo. In Goliarda c’è un’idea di amore molto ampia, anche per il cinema».
Insieme alla co-sceneggiatrice Ippolita Di Majo, Martone presenterà nella serata di mercoledì 4 giugno il film al pubblico al Cinema Visionario di Udine, alle 19.15, e a Cinemazero di Pordenone, alle 21.00, mentre domani sarà al Cinema Edera di Treviso, alle ore 20, e al Cinema Porto Astra di Padova, alle 20.30.
Il regista aveva già portato Sapienza in teatro, e prima di lei altre scrittrici cruciali ma meno controverse come Fabrizia Ramondino e Anna Maria Ortese. Questa volta, però, si è concentrato su un periodo della vita di Sapienza che l’ha resa ancora più invisa ai circoli culturali degli anni ’70 e ‘80: quello passato in carcere, a Rebibbia, per aver rubato dei gioielli. Sapienza, che è rimasta sempre amica delle compagne di cella, ha raccontato l’esperienza in due libri, “L’università di Rebibbia” e “Le certezze del dubbio” (editi da Einaudi), ai quali il film s’ispira, affidando il suo ruolo a Valeria Golino e quello delle amiche a Matilda De Angelis e alla cantante Elodie.
Martone, come ha lavorato con Ippolita Di Majo sui testi della scrittrice?
«Il film dialoga con la scrittura di Goliarda, magmatica e non consequenziale: non c’è una storia che si dipana dall’inizio alla fine, è uno stato d’animo in cui gli spettatori si immergono. Abbiamo adattato i dialoghi, ma già all’origine erano molto belli. Goliarda è stata anche attrice, sapeva cosa vuol dire la parola recitata. E ha un grande senso di verità, per me è importantissimo: anche quando ricostruisco un mondo passato cerco di ancorarlo alla realtà dei luoghi e delle situazioni».
Goliarda, giudicata e ostracizzata dall’ambiente culturale del tempo, si sentiva più libera in carcere che “fuori”...
«Questa storia parla di persone tossicodipendenti, che hanno commesso dei reati: ci sarebbero mille ragioni per emettere su di loro un giudizio. Invece il soggetto di Ippolita faceva fluire il rapporto di queste donne senza nessuna osservazione, anche nei suoi aspetti più dolorosi. Su tutto prevale la vitalità, che nasce proprio dall’assenza di giudizio».
Com’è stato girare nella vera casa di Goliarda ai Parioli, anche grazie alla collaborazione con il marito Angelo Pellegrino?
«Un’esperienza forte. Fin dall’inizio Pellegrino ci è stato molto vicino perché era convinto del nostro modo di vedere Goliarda. Alla fine abbiamo potuto girare nella casa di Sapienza, dove lui ancora vive, con una ricostruzione scenografica di Carmine Guarino, ma con l’impianto originale e molti oggetti di Goliarda, come i suoi libri».
Ha girato anche a Rebibbia, e molte vere detenute compaiono nel film...
«L’idea di ricostruire Rebibbia era impossibile dal punto di vista scenografico, ma soprattutto umano. Avevo bisogno di incontrare le detenute, di farle incontrare alle attrici. Abbiamo lavorato insieme e qualche giorno fa abbiamo proiettato il film proprio a Rebibbia: una detenuta mi ha detto, con le lacrime agli occhi, che aveva passato due ore senza vedere nessuno che venisse giudicato».
Vediamo anche lo spezzone di un’intervista del 1983 di Enzo Biagi a Sapienza, unica donna tra ospiti uomini, in cui il giornalista è scettico sul suo modo di vedere il carcere. Perché l’ha inserito?
«Perché è molto evidente, in quell’inserto, come Goliarda veniva vista dalla società di quegli anni. Fa male vedere una donna così poco ascoltata e derisa mentre sta cercando di spiegare il suo punto di vista: la dice lunghissima su com’era la situazione allora, e su come per tanti verso lo è ancora. Era importante inserirlo perché improvvisamente, dopo due ore in cui ci si è aperti a un’idea diversa di libertà, arriva il giudizio, il dito puntato».
Cosa c’è ancora di sovversivo in Goliarda Sapienza?
«Mentre il mondo sta arretrando sui diritti, avanza una questione femminile importante ma purtroppo con innumerevoli contro-spinte. Oggi ci vergogniamo a guardare quel pezzo di Biagi, ma dall’altro lato c’è un femminicidio al giorno. Il fatto che non sappiamo cosa penserebbe Goliarda di tutto questo è indicativo della forza del suo pensiero, non prevedibile, non codificato. Goliarda non dà un manifesto, ma spinge ad aprire la mente. Le scrittrici e gli scrittori del suo tempo erano spesso legati a ideologie e le loro voci oggi faticano ad arrivare, perché il mondo è cambiato. Quella di Goliarda invece è ancora una voce libera, ti consente di danzare con lei, ed è quello che ho cercato di fare anche con il film».
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