L’Italia occupata di Gustavo Corni: «Una ricerca avviata negli anni ‘80»
Intervista al finalista del Premio Friuli Storia. «Una storia di disperazione, di fame e di malattie per tutti, soldati e civili»

Iniziamo la presentazione dei tre finalisti del Premio Friuli Storia con il saggio di Gustavo Corni “L’Italia occupata 1917-1918. Friuli e Veneto orientale da Caporetto a Vittorio Veneto” (Gaspari 2024).
Il vincitore del premio sarà determinato dalla giuria dei lettori entro il 31 agosto 2025, mentre la cerimonia di premiazione si terrà a Udine in autunno.
Corni, già professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Trento dopo avere insegnato a Venezia, Chieti (sede di Pescara) e Trieste, è specialista di storia della Germania contemporanea, di storia comparata delle dittature e di storia sociale delle due guerre mondiali.
Su Caporetto, certo, si è scritto molto, ma i complessi rapporti fra occupanti e occupati hanno sofferto di una lacuna storiografica, anche a livello locale.
È giunto dunque opportunamente, in proposito, questo ampio affresco basato su fonti d’archivio austro-germaniche e su una ricca produzione diaristica.
In realtà, ci spiega l’autore, «la ricerca iniziò negli anni ’80, quando nell’ambito di un progetto sulla storia di Vidor, in provincia di Treviso, mi occupai di un capitolo ancora inesplorato: l’occupazione austro-germanica di Vidor e dintorni nell’ultimo anno di guerra».
Così, avvalendosi della sua conoscenza della lingua tedesca, Corni iniziò a lavorare negli archivi austriaci, studiando l’enorme documentazione sui reparti militari austroungarici che furono impegnati nei territori occupati: «E da quella ricerca – ricorda – è nato un interesse che in seguito ho ripreso per chiudere, alla fine della mia carriera, un capitolo che non era stato concluso. Nel frattempo, era inoltre cresciuta la pubblicazione di diari – sono circa duecento quelli che ho potuto consultare, in buona parte opera di sacerdoti, maestri ed esponenti della piccola borghesia rimasti nel territorio –, testimonianze che si sono rivelate essenziali per cogliere il punto di vista di occupanti e occupati, assieme alle pubblicazioni di protagonisti della vita amministrativa in quell’anno terribile e ai materiali austriaci».
Ora, che da parte austriaca e ungherese non vi fosse, quando la ricerca ebbe inizio, una grande attenzione sull’argomento, è comprensibile. Ma perché uno scarso interesse anche dalla parte italiana che, specialmente in epoca fascista, celebrava la Grande Guerra quale riscatto e affermazione nazionale?
Corni, a questo riguardo, individua due ordini di motivi: «Prima di tutto, raccontare l’anno dell’occupazione, soprattutto dal punto di vista della popolazione civile, significava esaltare il ruolo cruciale del clero, nei confronti del quale il regime fascista non è mai stato tenero; in secondo luogo, da parte dei friulani e dei veneti occupati non ci fu alcuna forma di reazione, tanto meno di tipo armato, e quella storia di rassegnazione non combaciava con la narrazione fascista. Peraltro, occorre dire che gli occupati, abbandonati da una larga parte della classe dirigente, erano in maggioranza donne, anziani, bambini e pochi maschi adulti, in genere appartenenti alle classi rurali e in grado, tutt’al più, di trovare un modus vivendi in quella situazione babelica e dolorosissima».
Un modus vivendi che includeva, certo, odio, sopraffazioni e violenze, ma non solo: «In effetti è una storia di disperazione, di fame e di malattie per tutti, soldati e civili, e tutti tentarono in qualche modo di cavarsela: chi con modalità brutali e chi, invece, semplicemente ricercando un rapporto di convivenza, di incontro, talora anche di compassione reciproca».
Un tema importante, dunque, per sviluppare il quale l’autore ha avuto a disposizione fonti diaristiche che sono state inevitabilmente limitate (impossibile dire infatti quante altre testimonianze non siano giunte fino a noi) ma non per questo poco rappresentative.
In effetti, «lo storico deve sapersi muovere a tentoni, abbozzare ipotesi fondate sui dati certi e disponibili ed essere esplicito circa la non completezza delle fonti su cui ha lavorato; ma, al tempo stesso, deve cercare di trarre da quelle fonti gli elementi per una lettura di carattere generale».
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