L’inedito “The eternal city”, il film in cui recita Mussolini

Spezzoni della pellicola girata a Hollywood pochi mesi dopo la marcia su Roma: proiezione in anteprima mondiale. Dietro il restauro il Rotary del Noncello

PORDENONE. L'anno scorso fu "l'Orson Welles ritrovato", quest'anno "il primo approccio" di Benito Mussolini con il cinema e con le infinite possibilità di "propaganda" (oggi lo definiremmo un "ritorno mediatico") che il grande schermo gli avrebbe garantito: confermandosi fonte continua di scoperte e curiosità, le Giornate del cinema muto presenteranno oggi, alle 12.30, al teatro Verdi, l'anteprima mondiale della digitalizzazione di due rulli finali (28 minuti) di “The eternal city”.

La scoperta di ciò che resta del film originario - avvenuta al Moma di New York - si deve alla studiosa italiana Giuliana Muscio, mentre il trasferimento su digitale è stato possibile grazie all'intervento del Rotary Club di Pordenone. «Non che del film non si fosse mai parlato prima: Giampiero Brunetta - spiega la Muscio - ne scrisse molti anni fa su Repubblica e Kevin Brownlow lo cita nel suo libro “Dietro la maschera dell'innocenza”. Ma hanno raccontato cose che io non ho visto, quando finalmente l'ho trovato».

L'eccezionalità dell'evento risiede soprattutto nel fatto che fu girato a Hollywood, nel 1923, a pochi mesi dalla Marcia su Roma - allora Mussolini aveva 39 anni ed era primo ministro - e che il film glorifica il fascismo: perché dunque gli americani decisero di girare una pellicola filo-regime?

Correva l'anno 1923… Samuel Goldwyn, in guerra con la ex società Goldwyn & Pictures, scelse di realizzare il primo film della sua nuova società in Italia. Il soggetto era tratto dal romanzo di Hall Caine, “The Eternal City” (La città eterna), che aveva già avuto un adattamento teatrale e altre versioni cinematografiche.

La novità era rappresentata dal fatto che la sceneggiatrice Ouida Bergère, moglie del regista George Fitzmaurice, decise di trasportare al tempo presente (nella versione originale l'eroe era un socialista) la vicenda che vede al centro David Rossi, orfanello dal dottor Roselli, pacifista che lo fa crescere assieme alla propria figlia, Roma.

Da grandi i due si giurano amore eterno, ma mentre Davide parte per la Grande Guerra, Roma diventa una famosa scultrice grazie all'appoggio del barone Bonelli (interpretato da Lionel Barrymore e infatti le Giornate hanno inserito il film nella retrospettiva dedicata alla royal family di Hollywood), capo segreto del partito comunista, malvagio, istigatore di disordini fra la classe lavoratrice.

David si unisce ai fascisti, diventa braccio destro di Mussolini, accusa Roma di averlo tradito con il barone, lo uccide e Roma si autoaccusa del delitto. Allora David capisce che Roma non l'ha mai ingannato, confessa l'omicidio, Mussolini gli concede la grazia e l'amore trionfa. «Evidentemente - spiega la Muscio - Mussolini accordò il permesso di girare il film a patto che avesse un'impronta filo-fascista. Del resto gli americani guardavano con interesse alla figura di un giovane leader che portava ordine nel Paese, un uomo considerato d'azione e non negativo».

Le didascalie sono decisamente filo-regime. «Essendo giornalista e drammaturgo - prosegue la studiosa - quando lesse la sceneggiatura Mussolini diede senz'altro dei suggerimenti. Lo confermano almeno due particolari: il fatto che le camicie nere sono paragonate ai Mille di Garibaldi (certo non fu un'idea della sceneggiatrice ufficiale, un'americana che forse nemmeno sapeva dov'era l'Italia) e che il leader del fascismo diventa un personaggio della storia, permettendone il lieto fine quando firma la liberazione di David». E nella scena in cui appare si vede un Mussolini compiaciuto e tutto compreso del ruolo che sta recitando.

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