Lilin: scrivo sulla pelle una storia indelebile di peccati e redenzione

MAJANO. A scriverla sulla pelle la propria storia ci rimane per sempre. L’'amore, la rabbia, la guerra e l’odio, i sogni e il sangue che l’anima la graffiano e basta, sulla pelle ci restano anche dopo la morte, a raccontare un passato reso indelebile. «Nella tradizione siberiana - ci spiega Nicolai Lilin, scrittore russo di successo e cittadino italiano per scelta che inaugura domani, alle 19, “Maravee Corpus” al Castello di Susans - il tatuaggio nasce solo da una stretta relazione tra tatuato e tatuatore. È la confessione della propria storia, il racconto intimo e riservato, che consente al tatuatore di decidere simboli e segni da incidere sul corpo. Sono segni che appartengono a un codice segreto, tramandato tra maestri tatuatori e sconosciuto anche a chi si fa tatuare».
Ci spieghi meglio, chi sceglie di farsi tatuare secondo la tradizione siberiana, quindi, non è in grado di interpretare i segni che avrà sul corpo?
Esattamente. Quando si decide di venire tatuati, l’aspetto piú importante è il rapporto che si deve instaurare tra la persona e la confessione che fa per ottenere un disegno. Segni che trasformano il racconto in simboli, ed è fondamentale che la persona si apra al tatuatore. Il tatuaggio in sé è quindi solo la parte finale, se vuole quella che ha meno significato del processo di conoscenza, è una cosa ovvia, logica e tecnica se vogliamo metterla cosí, un ago che inietta dell’inchiostro. Non è necessario che il tatuato capisca, è fondamentale invece che si instauri un rapporto di fiducia con il tatuatore. La simbologia è come una lingua, i simboli sono come lettere di un alfabeto che, messi in relazione, formano il racconto della vita di una persona. È il tatuatore che deve conoscere questa lingua, come una specie di sacerdote al quale viene confessato il proprio vissuto. Ci si porta addosso la propria vita, ma non è necessario conoscere il senso e le regole con cui è stata scritta.
Eppure anche nei tatuaggi emerge evidente la soggezione a un costume, una moda, nei segni, colori, soggetti.
Oggi il tatuaggio è diventato, nella maggior parte dei casi, un’altra cosa. Risente dell’esposizione al consumismo ed è inevitabile che abbia assunto i connotati di una disciplina di consumo, spostandosi molto dalla sua filosofia e dalle sue origini. Nella tradizione siberiana, come credo sia stato anche in altre tradizioni, si è riusciti a preservare piú a lungo la sua originalità, il rapporto iniziatico che rappresenta l’atto di segnare sulla pelle la propria storia.
Il termine iniziatico rimanda a una ritualità che sembra persa.
In Russia questa tradizione continua a esistere. Una volta la si utilizzava negli ambienti criminali per conoscere una persona. Un nuovo adepto, per esempio, o chi si avvicinava agli ambienti criminali, veniva invitato a fare una sauna. Tra gli invitati c’era anche un tatuatore che interpretava i segni incisi sul corpo e poteva affermare se quella persona rappresentava un autorevole membro della comunità oppure un impostore.
Come una storia senza redenzione.
Non si cambia la propria storia. Ci si incide per vari motivi, per non dimenticare, per non rivivere un’altra volta i propri errori, o per ricordare affetti, cose perdute, lutti personali.
Lei, autore di successo con "Educazione Siberiana" e con il suo ultimo romanzo "Il serpente di Dio" al castello di Susans si presenta in una veste diversa.
È un altro aspetto delle mie opere, una mostra che raccoglie miei disegni su vari supporti, come la carta o la tela, e i miei progetti legati al mondo della moda o dei coltelli nei quali mi sono servito della simbologia della tradizione siberiana dei tatuaggi e che esprimono lo stretto legame tra vissuto e simbolo. Un rapporto contenuto in un codice che ho avuto la possibilità di apprendere e che nella mia personale intitolata “Scritto sulla pelle” si manifesta in tutto il suo senso antropologico.
Gabriele Giuga
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