L’essere umano deve rispettare Madre Natura. Il futuro? Meno lavoro, ma che sia per tutti

Settima puntata delle parole al tempo del Virus, nel racconto dello scrittore di Pordenone, autore fra gli altri di «Pane e ferro» (Biblioteca dell’Immagine) da poco in libreria.

Natura. Critica. Rispetto.

Dopo la scorsa puntata vi racconto altre tre brevi Storie per narrare altre 3 importanti Parole

NATURA

L’essere umano è solo un breve momento nel percorso della Terra. Siamo una scheggia di luce e di ombre, in un cielo perenne. Pare poetica come visione, eppure la datazione radiometrica del pianeta è dichiarata in 4,56 miliardi di anni. Mentre noi, donne e uomini in grado di leggere queste parole, abbiamo cominciato l’ultima fase evolutiva da poco più di 20mila anni. Cioè nulla. A fronte di questo, solo gli sprovveduti o peggio i supponenti possono pensare di piegare la Natura alle esigenze umane.

Antonio Gramsci, nel 1935, scriveva “Ogni sistema sociale ed economico è modificabile in quanto figlio delle scelte dell’uomo, a differenza della Natura che mai è modificabile”. Tito Maniacco, padre della cultura friulana del secondo Novecento, nel 1980 scriveva “La pioggia e la neve che abbondanti cadono sul Friuli, sono più importanti della spada di ogni Patriarca”. Due intellettuali fondamentali, che a distanza di cinquant’anni insistevano a mettere la Natura sul suo preciso piedistallo: il dominio sopra l’essere umano.

Ora, la pandemia che stiamo subendo ci costringe a tornare a ragionare sulla nostra infinita piccolezza e fragilità, come ho avuto modo di scrivere nella scorse settimane. La Natura è colei che ristabilizza tutto, una madre a volte matrigna altre benigna. Ma tale madre, che noi maltrattiamo anche se insiste a donarci terra, cibo, calore, acqua, piante, animali, deve tuttavia tenere un equilibrio, ed è evidente che quando il figlio più indisciplinato, che siamo noi, rischia di uccidere l’intera famiglia, dai fratelli alla madre stessa, toccherà ad essa far una scelta: a nostro danno.

Per comprendere meglio, facciamo un breve salto nella Storia, durante la conquista delle Americhe. Il 12 ottobre 1492, Cristoforo Colombo sbarcò nelle Bahamas portando con sé il vaiolo, il morbillo, la tubercolosi. Il bilancio più alto di vittime della storia non è stato quello della Peste nera del Trecento in Europa, né quello del colera in Bengala, ma è figlio dell’arrivo degli europei nel nuovo mondo. Naturalmente i nativi non erano mai stati esposti a quelle malattie, non possedevano immunità, così a distanza di qualche mese poche decine di europei infettati diffusero i virus lungo terre immense, tanto da decimarne le popolazioni, dal sud al nord dell’America, dagli Inca agli indiani pellerossa. Il 90% dei nativi del continente americano venuti in contatto con gli europei morì. La più grande strage della storia dell’umanità.

Ora, è sotto gli occhi di tutti, dopo l’ennesima pandemia l’essere umano è costretto ad affrontare immediatamente alcuni nodi vitali per la sopravvivenza: il rispetto della biodiversità ambientale; la regolamentazione del consumo di carne; l’abolizione ferrea del consumo di animali selvatici; l’educazione alimentare generale; l’abolizione delle attività merceologiche nate dallo sfruttamento di animali e natura. E su tutto: il surriscaldamento terrestre generato dagli stili di vita dannosi e dall’inquinamento planetario.

O rispettiamo la Terra oppure la Terra, che è madre, farà una naturale scelta sul figlio da sacrificare, e quel figlio sappiamo perfettamente chi è.

CRITICA

Occorre ora il coraggio della critica. Come scrivevo nelle scorse domeniche, il nostro sistema sociale, di relazioni, economico, definito Occidente, ha le sue radici in Europa, cioè nella Rivoluzione francese di fine Settecento e nella Rivoluzione industriale inglese di inizio Ottocento. L’Occidente nasce pertanto da due fondanti atti di critica verso il sistema precedente, che altro non era che uno strascico d’un prolungato post Medioevo.

Il popolo nella Rivoluzione francese operò la critica verso la nobiltà e i suoi assurdi privilegi; «Se non hanno più pane, che mangino brioche» sosteneva la bella regina Maria Antonietta poco prima d’esser decapitata nel 1793. Il popolo partecipò poi alla Rivoluzione industriale inglese, criticando in massa le arcaiche forme di schiavitù legate alla terra (la mezzadria altro non era che uno strumento di schiavitù già vecchio di ottocento anni), e così l’ambire alla fabbrica divenne, al principio, un moto di ribellione.

Occorre oggi guardare al nostro recente passato con identico senso critico. L’Occidente, le sue deformazioni finanziarie, le sue ingiustizie moderne, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il lavoro seriale e ultraproduttivo, le nuove tecnologie e le nuove schiavitù, gli stili di vita improntati sullo stupido consumo di beni inutili.

Oggi, come avvenne duecento anni fa, è necessario immaginare per le nostre vite quotidiane e organizzare nella società un mondo “altro”, nuovo. Meno lavoro, ma che sia per tutti; un radicale taglio agli investimenti militari, per dirottarne i fondi verso la salvaguardia dell’ambiente, la sanità, la ricerca, l’istruzione, le industrie innovative; verso imprenditori, lavoratori, classi dirigenti coraggiose; verso la lotta alla fame e alla povertà; verso il futuro, che sta nel progresso umano.

RISPETTO

Chi critica la possibilità della realizzazione dell’utopia, sbaglia, o per ignavia o per opportunismo. Si tratta sempre di decisioni politiche, e i politici devono prendersi le responsabilità delle scelte. Riporto a chiusura di questa pagina ciò che Pier Paolo Pasolini scriveva a Italo Calvino nel 1970.

«È questo illimitato mondo contadino pre-nazionale e pre-industriale, sopravvissuto solo fino a pochi anni fa, che io rimpiango. Gli uomini di questo universo non vivevano un’età dell’oro, come non erano coinvolti, se non formalmente con l’italietta. Essi vivevano l’età del pane. Erano cioè consumatori di beni estremamente necessari. Ed era questo, forse, che rendeva estremamente necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni superflui, rendono superflua la vita. Che io rimpianga o non rimpianga questo universo contadino, resta comunque affar mio. Ciò non mi impedisce affatto di esercitare sul mondo attuale così come è la mia critica.»

Una critica, quella Pasoliniana, da far oggi nostra. In quanto nasceva dal rispetto primario verso l’essere umano e le sue fondanti esigenze di vita.

Insisteva, un altro grande friulano, David Maria Turoldo: «Per ricostruire il Friuli dopo questo terribile terremoto, ascoltate i poeti». —


 

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