Lei aveva un’altra un uxoricidio fuori dagli schemi

Il 24 marzo del 1905, fuori dalla Corte d’Assise di Udine è assiepata una folla di curiosi. Il processo iniziato oggi, infatti, per ragioni di moralità si tiene a porte chiuse. E dietro a quelle...

Il 24 marzo del 1905, fuori dalla Corte d’Assise di Udine è assiepata una folla di curiosi. Il processo iniziato oggi, infatti, per ragioni di moralità si tiene a porte chiuse. E dietro a quelle porte, giudici e avvocati si confrontano per fare, alla fine, la scelta giusta. Del resto un processo è come la vita: siamo chiamati a scelte continue nella speranza di fare le migliori, giudicati dal prossimo e da quello che dovrebbe essere il giudice più severo: la nostra coscienza. La vita di Francesco Amoroso, brigadiere della Finanza ora rinchiuso nella gabbia dell’Aula come un obbrobrio della natura, più di ogni altra fu costellata da scelte difficili: orfano fin dalla più tenera età e, in seguito, marito sventurato, cercò sempre di mantenere la bussola lungo la strada della rettitudine. Ma ogni sacrificio fu reso vano la notte tra il 9 e il 10 luglio del 1904 quando Amoroso, il cui cognome sembrava cucitogli addosso dal fato, cedette all’esasperazione, facendo la scelta sbagliata: diventare uxoricida. Ma ecco i fatti.

Il brigadiere, di origine siciliana, prima d’essere trasferito in Friuli sposò a Firenze Gemma Simoni. Avere una famiglia numerosa e felice era per lui la massima ambizione. La coppia prese casa a Medeuzza, ma fin da principio il matrimonio si rivelò un tormento. Discordie e liti violente, causate dalla brutalità della Simoni, erano all’ordine del giorno e la morale del tempo giudicava la Gemma una pervertita, un’ubriacona bestemmiatrice che preferiva l’amore della domestica a quello del marito. Fu un inferno durato sei anni e poi, il terribile epilogo. La notte dell’omicidio, il finanziere rientrò verso la 23 e fu accolto, al solito, come un ramarro. La moglie ubriaca lo insultò per poi infilarsi nel letto della servetta Luisa Torresini. A notte fonda, rientrata nella camera matrimoniale, per un nonnulla accese una lite furibonda con il marito che, esasperato, si vestì in fretta determinato a passare la notte in dogana. Ma quando la moglie lo afferrò violentemente per il colletto, i nervi d’acciaio divennero burro e il finanziere, impugnata l’arma di ordinanza, sparò quattro colpi al ventre della moglie. Poi uscì per costituirsi.

Ma per l’opinione del tempo, l’assassinio fu davvero la scelta sbagliata? Tutto è relativo, ci saranno infinite verità e mai nessuna esattezza, poiché non esiste giustizia in senso assoluto. Ecco che il processo ha dell’incredibile.

Torniamo in Aula. La prima cosa straordinaria sono le dichiarazioni della famiglia della vittima: «Facciamo appello alla vostra bontà. – a parlare per tutti è il cognato dell’imputato, il medico Luigi Simoni – Conoscevamo i rapporti tempestosi della coppia, e prevedevamo con dolore a quali tristi conseguenze avrebbe condotto l’insopportabile e impetuoso carattere di mia sorella. Con tutto il rispetto che si deve ai defunti, assicuriamo che da parte della famiglia non vi sarà, in processo, costituzione di parte civile. Non intendiamo aggravare ancora di più la già gravissima posizione dell’Amoroso che reputiamo più sventurato che colpevole». A questo punto l’accusato chiede al giudice di poter abbracciare il cognato e, uscito dalla gabbia, gli si getta ai piedi. Il Simoni lo rialza e lo bacia dicendo: «Mio povero Francesco! È una cosa che non meritavi certamente».

Elvira Simoni poi, testimonia che la defunta bastonava e seviziava la loro madre che, dal canto suo, non vuole più sentir parlare di sua figlia. Il perdono della Corte è nell’aria, e gli interventi del Sostituto Procuratore della Repubblica Bandi e dell’avvocato difensore, Bertaccioli per una volta vanno a braccetto, sottolineando la ripugnanza del carattere della vittima, per la quale la perversione, il vino e la pipa erano i soli idoli, persuadendo Dio a punirla scoperchiando, innanzi tempo, la sua tragica fossa. «L’Amoroso non è un pazzo degenerato – concludono all’unisono –, ma un uomo in collera che nell’eccesso commise reato. Ma la Legge contempla anche questi casi…».

L’imputato tiene il volto coperto da un fazzoletto, ed è tutto un pianto quanto dura la ridondante arringa.

Le porte dell’Aula ora si spalancano, è il momento del verdetto che sarà di piena assoluzione. L’Amoroso si lancia contro la sbarra e congiungendo le mani, rivolto ai giurati grida: «Siate benedetti da Dio!». Poi viene accompagnato dalla folla festante fino alla caserma della finanza di via Grazzano, dove i colleghi gli vanno incontro per abbracciarlo e baciarlo. Per il tribunale degli uomini, dunque, la sua scelta fu quella giusta: uccidere il demonio, sotto le spoglie di una Gemma.

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