Le sette vite di Marta Marzotto

Che tempismo strano ha la vita. Esce il libro su di te, l’hai pure scritto tu, e tu, “naturalmente” narcisa, lo lasci in eredità senza i complimenti del salotto, ed è proprio la natura stessa che ti ha sconfitto. Marta Marzotto, energica ed esuberante, nel libro afferma: «Difficile staccarsi dalla vita, non vorrei proprio morire». Se ne è andata: tre giorni fa e senza clamore, a “ottanta più cinque” come lei dichiarava i suoi anni, e l’Italia la piange, la ricorda, e ci si è pure affezionata. I nipoti e i figli le volevano bene. Davvero, che tempismo strano ha la vita.
Regina della libertà di pensiero e soprattutto anima generosa, Marta Marzotto è la testimonial di una nazione vivida, capace di amare, di osare, di agire. Un’Italia di trionfi e sconfitte. L’Italia del secondo Novecento, quella che non c’è più: grande nei colori e negli sprechi, esagerata nei personaggi come nelle abitudini. Lei che era nata figlia di un manovale delle ferrovie e di una modista, in stile neorealista, e che aveva coronato il sogno di tante ragazze del tempo, diventare contessa sposando nel 1954 il nobile Umberto Marzotto, aveva poi allontanato la malinconia dell’isolamento da periferia (Portogruaro), approdando a Roma e poi godendo il mondo, attraverso i viaggi, gli amori, il suo personalissimo stile, anticipatore di mode e tendenze.
«Se lo scopo della vita è viverla», scrive, «mi chiedo per quali valori valga la pena spendersi». «Sia lodato chi ama e perisca chi non conosce l’amore», aggiunge in questa autobiografia, condotta a quattro mani, con la brava autrice Laura Laurenzi. «Suona più o meno così il motto latin», aggiunge, «che Renato scrisse per me in una sua delega, ed è una frase che ripeto spesso». Renato è Guttuso, il celebre pittore siciliano, che tanto la volle. Nel libro c’è molto di questa relazione, anticipato già dal sottotitolo “le mie sette vite”.
Tante. Quella con il marito e i figli, cinque, e i suoi amati nipoti, quella delle relazioni amorose e passionali: vent’anni con Guttuso e poi il politico Lucio Magri, che l’autrice definisce “l’errore”, e che conobbe a casa di Eugenio Scalfari, «il giorno in cui nacque il quotidiano La Repubblica, nel 1976». «Mi sorrise e a un certo punto mi portò un piatto di frutta e poi non mi lasciò più». Quella intensa, intensissima, esistenza pubblica, con i notabili della vita politica e culturale, dell’economia, nei fulgidi anni Settanta e Ottanta, tra feste in Sardegna e Cortina, sui terrazzi romani. La vetrina luccicante della Prima Repubblica. «Nessuno l’ha vissuta più di Marta Marzotto», scrive Laurenti, «e nessuno può raccontarla meglio di lei».
Un racconto di costume, dove i figli sono delicatamente lasciati in disparte, ed è accolta tra le pagine invece la nipote Isabella Borromeo. Commuove sapere che Marta Marzotto ha promosso l’intero restauro della “Madonna del libro” di Sandro Botticelli, conservata al Poldi Pezzoli a Milano: un modo per ricordare Annalisa, la figlia mancata prematuramente, e una maniera di unirsi alla bellezza che è immortale. «Oggi mi domando se sono mai stata felice. Non ne ho avuto il tempo, sono sempre stata proiettata nel futuro».
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