Le Lotte del Cormôr, lo “sciopero alla rovescia” di 70 anni fa
Tra la fine del 1949 e i primi mesi del 1950 nel Friuli e in altre parti d’Italia vennero attuati “scioperi alla rovescia”, che avevano la caratteristica di essere condotti da disoccupati e basati sullo svolgimento autonomo di lavori di bonifica, opere pubbliche, miglioramenti fondiari.
Nella zona del Cormôr la mobilitazione di centinaia di disoccupati iniziò il 19 maggio 1950 e il giorno successivo una delegazione si recò in prefettura a sollecitare uno stanziamento di fondi, a cui fu risposto che esistevano solo poche disponibilità. Non scoraggiati da ciò, diverse centinaia di lavoratori in bicicletta con il badile sulla canna, mossero dai vari paesi della Bassa verso l’argine del torrente per eseguire lavori di scavo. Issarono bandiere tricolori ai margini del cantiere e avviarono le opere. Inizialmente la polizia, di fronte a questa grande mobilitazione, si tenne nei dintorni senza intervenire.
I sindacalisti organizzarono squadre di scavo con badili, picconi e carriole, quasi increduli del numero crescente di disoccupati in arrivo, oltre duemila, mentre i funzionari della prefettura avevano concesso solo un lavoro temporaneo per 250 persone.
Nel giro di pochi giorni, la lotta entrò nella fase più dura. Il mattino del 25 maggio la polizia comandata dal commissario Gallo di Cervignano arrestò a Muzzana il sindacalista Franco Graziutti e poi si portò a disperdere i braccianti lungo il Cormôr.
Ricevuti rinforzi da altri commissariati, i poliziotti nei giorni seguenti si lanciarono in una caccia all’uomo a Muzzana e nei vicini centri di Carlino, Palazzolo e San Giorgio. Venne arrestato anche il segretario della Federterra Guido Nadalutti. I funzionari del Consorzio di bonifica, affiancandosi alle rivendicazioni, si recarono a Roma per convincere il Governo a finanziare le opere, spiegando che la Bassa friulana era in una situazione di abbandono che necessitava di interventi. Intanto, cresceva la solidarietà popolare con raccolta di viveri di paese in paese, partendo dai centri più grossi come Latisana, Cervignano e Mortegliano. La cooperativa di Aquileia e l’Alleanza delle cooperative di consumo offrirono oltre tre quintali di pasta, due ettolitri di vino, centinaia di pacchi viveri.
Il 29 maggio, cortei di carri con centinaia di donne e bambini confluirono sul Cormôr per impedire le cariche della polizia contro i braccianti. Tra le migliaia di persone accorse vi era chi chiedeva pane e lavoro, chi urlava, chi piangeva. Il 31 maggio a Udine si svolse una grande manifestazione di piazza in sostegno delle lotte. Il 4 giugno il presidente del Consiglio De Gasperi, giunto a Udine, assicurava altri 60 milioni di finanziamento, da aggiungersi ai 42 inizialmente disponibili.
Il 27 giugno, in una riunione tra i funzionari dell’Ufficio provinciale del lavoro, i rappresentanti dei sindacati e delle due ditte appaltatrici, si firmò un accordo che prevedeva l’assunzione di mille operai che avrebbero lavorato in due turni giornalieri di sei ore; gli operai sarebbero stati scelti dalle commissioni dei quindici comuni della zona. La notizia si sparse rapidamente e alla sera stessa circa tremila persone si ritrovarono a Pocenia per manifestare la soddisfazione per il risultato ottenuto.
Il rapido esaurirsi dei fondi a disposizione e l’utilizzo di mezzi meccanici al posto dei badili e picconi causò tuttavia nel giro di due mesi centinaia di licenziamenti, nuove agitazioni e un accordo più riduttivo. Nel corso del 1950 e dei primi mesi del 1951 altri scioperi a rovescio vennero organizzati nell’agro di Aquileia, a Fiumicello e Ruda e, nel Friuli occidentale, a Caneva e Polcenigo. Nonostante l’impegno politico e sindacale, la carenza di finanziamenti spinse molti lavoratori a trovare sbocchi verso l’estero, dove man mano si aprivano possibilità di occupazione in agricoltura, nelle miniere, in edilizia, nelle industrie. —
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