Le gratitudini al Mittelfest, spettacolo di Triestino in prima assoluta

Mario Brandolin

Le gratitudini è da molti considerato il romanzo più bello di Delphine de Vigan, oggi una delle scrittrici francesi più lette e tradotte. E Le gratitudini arriva sul palcoscenico di Mittelfest martedì 25, alle 20.30, al Teatro Ristori in una versione firmata da Paolo Triestino per una produzione degli Artisti Associati di Gorizia.

E arriva questo testo bellissimo col suo carico di temi che ci toccano nel profondo e che segnano alcuni tratti distintivi del nostro presente: dalla solitudine all’invecchiare, dalla perdita di memoria al non saper più trovare parole giuste per comunicare con sé e gli altri, fino alla rimozione di quelle che sono state le più terribili tragedie del secolo breve.

La trama è piuttosto semplice, quello che conta invece sono le atmosfere sentimentali ed emotive che ne scandiscono gli sviluppi. Le gratitudini mette in scena la storia di Michka una correttrice di bozze, ormai anziana e in casa di riposo, che per anni ha accudito Marie, una giovane dai rapporti familiari alquanto problematici.

Sarà Marie assieme a Jerome, un giovane ortofonista, ad aiutare Michka, ora che è lei a non sapersi più destreggiare con le parole, costretta anche come è a inventarsene di nuove, soprattutto ora che sente urgente il bisogno di ringraziare quanti durante l’occupazione tedesca l’hanno salvata dallo sterminio nazista.

«Avevo sentito parlare di questo romanzo una sera per caso – racconta Paolo Triestino – e ne rimasi intrigato. Quanto poi l’ho letto mi ha letteralmente travolto, e ho subito pensato che era materia per il teatro.

D’accordo con l’autrice ho cominciato a lavorarci, perché questo romanzo ha una polverina magica, di quelle quasi inspiegabili, che lo rende capace di toccare talmente tante corde che sono quelle che un buon copione teatrale deve fare.

Per quanto mi riguarda – aggiunge Triestino –, vuoi come padre, come persona di sessant’anni, come uomo che prova gioia nel dire grazie, anche se per falso pudore ti costa fatica. E poi c’è la cronaca che fa da sfondo la storia di questa anziana, ebrea polacca scampata dallo sterminio grazie alla generosità di due estranei cui la madre in fuga l’aveva affidata, che comincia a perdere le parole, soffre di afasia e al contempo sente forte il bisogno di dire grazie a quelle persone che l’hanno salvata e di cui ora non ricorda nemmeno il cognome.

Ma, senza svelare come, riuscirà a dire quel grazie che le preme dentro. Grazie all’aiuto di un giovane ortofonista (interpretato da Lorenzo Lavia) e Marie (Valentina Bartolo), la giovane che alla fine rappresenta quella figlia che non ha avuto».

Dopo un periodo di formazione con Gabriele Lavia, negli anni Novanta, Paolo Triestino ha intrapreso la strada del teatro contemporaneo. Invitandolo a spiegare quanto questo lavoro rispecchi il suo modo di fare e di intendere il teatro ammette che lo fa «in maniera perfetta, perché pur raccontando un dramma, la fine di un’esistenza, il copione e il personaggio principale presentano molti registri, per cui si va dal dramma al teatro dai toni agrodolci, nel senso che non mancano momenti di divertimento, che strappano più di un sorriso.

Soprattutto quando la protagonista è costretta per farsi capire a usare espressioni che sono buffe, improbabili, sbagliate. Perché penso che più i temi sono importanti, e questo testo ne allinea parecchi, più debbano essere trattati con leggerezza».

Passando al copione e al suo rapporto con il romanzo, Triestino spiega: «L’ho parecchio stravolto, pur rimanendo fedele allo spirito dell’autrice. Ho usato molti dialoghi, ma ad esempio, io interpreto il direttore della casa di riposo che nell’originale letterario era una donna.

Oppure il finale che non è quello del libro o la battuta che apre il libro, battuta meravigliosa che dice “quanto spesso ti capita di dire grazie, eppure quante volte hai veramente detto grazie” io la faccio dire a Marie a metà spettacolo. Ho soprattutto cercato di restituire il pieno di emozioni e di poesia che informa il romanzo. E questo grazie anche una compagnia che, ci tengo a sottolineare, è meravigliosa».

Dal canto suo Lucia Vasini che interpreta Michka, un personaggio piuttosto lontano da quelli, ironici satirici anche comici che hanno costellato il suo repertorio, aggiunge: «Questa per me rappresenta anche una sfida, perché sono molti i registri espressivi attraverso i quali questo personaggio si manifesta, e questo per un attore è anche una bella cosa perché ti mette continuamente in gioco.

Ma la cosa che più di tutto mi ha affascinato di Michka – conclude – è la storia tragica che ha alla spalle, il back ground di una vittima predestinata ma fortunosamente scampata alla Shoah. È questo sfondo che immette il personaggio, pur nella sua potente dignità, in un tourbillon di sentimenti, di emozioni, di reazioni. Che si focalizzano sulla necessità di dire grazie».

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto