«L’assedio alla lingua è un problema sociale»
di Gabriele Giuga
Due prospettive parallele, e per certi versi speculari, sui pericoli che corre la lingua italiana oggi, sono state al centro dell’incontro “La lingua assediata”, domenica mattina nel teatro Verdi di Pordenone, nel secondo appuntamento con “èStoria a teatro”, il ciclo di incontri mensili organizzato dal Comunale pordenonese con il festival èStoria.
Da una parte Stefano Bartezzaghi, ospite dell’incontro, semiologo, docente universitario alla Iulm, giornalista e scrittore, autore tra l’altro della seguitissima rubrica – il pubblico a Pordenone ne ha dato una concreta testimonianza – “Lessico e nuvole” su Repubblica. Dall’altra Paolo Medeossi, giornalista e scrittore che ha curato il coinvolgente dialogo con Bartezzaghi (a sinistra nella foto Missinato), sulla lingua italiana, assediata appunto da mille pericoli.
E se per Medeossi è «inevitabile il richiamo all’attualità», partendo dall’articolo di Bartezzaghi pubblicato proprio ieri su Robinson, l’inserto domenicale di Repubblica, dal titolo significativo “La lingua perduta dai miei studenti” collocando così l’avvio della riflessione sul versante accademico, la sala piena, insolita per una domenica mattina, spinge Bartezzaghi a un dialogo ironico, insistendo con spunti divertenti sulla incerta comprensione della lingua scritta.
«La questione della lingua è una questione sociale, non solo linguistica. E il sentimento di assedio provato da molti parlanti, in realtà lo si avverte non solo dall’esterno, dalle contaminazioni cui la lingua è esposta, ma anche dall’interno. Ogni anno pubblico le istruzioni per gli appelli d’esame, puntualmente, per quanto mi sforzi di renderle il più chiare possibili, arrivano le richieste di precisazioni, imbarazzanti, come lo studente che per una sessione di tre appelli mensili, da gennaio a marzo, mi scrive per chiedermi quale sia il primo!».
Si ride della lingua, il pubblico pordenonese non fa eccezione, gli errori, le sviste, la sintassi incerta il lessico zoppo, sono occasioni inesauribili. «Esistono espressioni – avverte Bartezzaghi – abusate, ma prive di significato, come “letteralmente”. Quante volte abbiamo sentito “sto letteralmente morendo di fame”, oppure è “letteralmente scoppiato di gioia”, lo potrà dire un attentatore dell’Isis, non certo qualcuno di noi!».
Medeossi richiama al problema della lingua da Dante in poi, e al fatto che «per un certo versante la lingua sia ritenuta uno strumento che oggi non serva più di tanto» ai vari media, la rete, gli sms.
Immediato il richiamo all’antilingua descritta da Italo Calvino, e i due registri opposti di una lingua che faticano a conciliarsi. «Ma sono problemi diffusi – continua Bartezzaghi – è inutile cercare una colpa, noi accademici scarichiamo il barile sui licei, che a loro volta lo scaricano sulle medie inferiori e così via fino alla balia. In realtà siamo tutti chiamati a esercitare un pensiero sulla lingua, prima di scrivere e soprattutto quando leggiamo la lingua scritta da altri».
Le citazioni passano da Umberto Eco a Gianni Mura, Primo Levi, Emilio Gadda, gli aneddoti raccontano di una relazione con la ling. ua difficile per tutti.
«A un convegno su questioni importanti con quattro linguisti, Tullio De Mauro mi chiese di precisare al pubblico che avesse voluto porre delle questioni che la domanda è una frase seguita da un punto interrogativo. Non ci crederete, le domande furono tutte comizi»” La platea pordenonese ride e mostra identiche tentazioni a formulare frasi interrogative, con partecipazione convinta. E questo è già un buon inizio.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto