L’armadio della vergogna e la difficile giustizia sulle stragi naziste in Italia

È stato presentato a Roma, al Senato, il libro “La difficile giustizia - I processi per crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-2013” scritto da Marco De Paolis e Paolo Pezzino. di PIER VITTORIO...
Di Pier Vittorio Buffa

È stato presentato a Roma, al Senato, il libro “La difficile giustizia - I processi per crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-2013” scritto da Marco De Paolis e Paolo Pezzino.

di PIER VITTORIO BUFFA

. Uno storico e un magistrato. Lo storico, Paolo Pezzino, ha studiato a fondo le stragi compiute dai nazifascisti in Italia, è stato consulente nei più importanti processi contro i nazisti, è il coordinatore del comitato che ha realizzato l’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia. Il magistrato, Marco De Paolis, ha diretto le procure militari di La Spezia e Verona, dirige quella di Roma, ha istruito i processi che hanno portato alla condanna all’ergastolo di 57 criminali di guerra nazisti.

Insieme hanno dato il via a una collana di libri, finanziata dalla Regione Toscana, destinata a diventare un passaggio obbligato per chi si vorrà occupare di quella terribile stagione in cui nazisti e fascisti uccisero, in Italia, 22 mila civili: donne, bambini, anziani…

«La più grande tragedia che ha investito il popolo italiano», la definiva Franco Giustolisi che i silenzi, le omissioni, i ritardi intorno a quelle terribili vicende ha denunciato per anni. E di quella “grande tragedia” i libri di De Paolis e Pezzino offrono coordinate e chiavi di lettura. In tutto saranno dieci volumi pubblicati dall’editore Viella. Il primo introduttivo, gli altri dedicati a singole stragi a partire da quella di Sant’Anna di Stazzema: 370 morti secondo le fonti ufficiali, almeno 560 secondo i calcoli ufficiosi.

De Paolis e Pezzino raccontano e documentano quello che è accaduto, sia sul piano politico sia su quello giudiziario, dai giorni immediatamente successivi alle stragi fino ai processi celebrati dopo 60-70 anni e solo grazie all’impegno di magistrati come De Paolis. Nel caso di Sant’Anna di Stazzema, per esempio, gli americani indagarono subito sulla strage. Identificarono il reparto che salì a Sant’Anna il 12 agosto (un battaglione della 16ª divisione delle SS) e mandarono il fascicolo a Washington il 31 ottobre 1944.

Due anni dopo, nel 1946, il fascicolo torna in Italia, alla Procura generale militare a Roma. E lì finisce, insieme ad altri 694 fascicoli, nel famoso “Armadio della vergogna”, come Giustolisi chiamò il mobile nel quale quei fascicoli, nel 1960, vennero chiusi, «provvisoriamente archiviati». Scrive Pezzino: «L’elaborazione giuridica e la ragion di Stato portarono ben presto a un arresto delle politiche della punizione». Poi, nel 1994, quell’ “armadio” viene riaperto.

I fascicoli vengono mandati alle singole procure per competenza, ma quasi nessuno si mette a indagare. Ci fu, scrive De Paolis, «una sostanziale sottovalutazione da parte della magistratura militare nel suo complesso» dell’importanza del ritrovamento dei «fascicoli occultati».

Un terzo di quei fascicoli, però, compreso quello di Sant’Anna, è di competenza della procura militare di La Spezia che, dal 2002, è diretta da De Paolis. Si può quindi dire che solo in quell’anno, 56 anni dopo l’arrivo da Washington delle carte su Sant’Anna, un magistrato italiano le studia per iniziare un processo. Per la strage di Sant’Anna si arriverà a otto condanne definitive all’ergastolo.

Non ci sono reticenze, nei due libri. Si analizzano le esigenze politico-militari che, nel dopoguerra, hanno rallentato e poi fermato i processi. Si chiama con il suo nome la ragion di Stato che ha poi determinato l’occultamento del 1960. Si spiega nel dettaglio come il ritrovamento dell’Armadio della vergogna non sia stato poi proprio casuale. Si dimostra l’inattività di una procura importante come quella di Roma che, praticamente, dopo il 1994, archiviò senza reali attività investigative. Ma soprattutto si spiega l’importanza che i processi hanno avuto nel ricostruire la memoria delle singole comunità, nel ridare dignità a chi allora perse tutto.

Gianfranco Lorenzini, sopravvissuto della strage di Marzabotto-Monte Sole, è chiamato come testimone al processo. In aula descrive, forse per la prima volta nella sua vita a voce alta, l’uccisione della sua mamma e delle sue sorelline. Un racconto così terribile che teme di non essere creduto e dice al giudice: «Signor giudice, mi può pure punire finché vuole, ma le cose che sono successe sono orribili, le mie parole sono vere».

«Questa persona – scrive De Paolis – chiedeva praticamente, disperatamente, che gli si credesse, percependo, probabilmente a livello inconscio, che ciò che aveva subito e vissuto non potesse essere compreso e condiviso fino in fondo dagli altri». Stati d’animo come questi sono tra gli elementi che fanno dire al procuratore De Paolis: «Io credo si possa affermare che questa giustizia, benché tardiva, non sia inutile. È importante che la realtà storica dei fatti sia garantita dal sigillo della giustizia, da quello scudo solido e imparziale che la possa difendere dai tentativi di negare e deformare la realtà. Ed è per questo che l’occultamento dei fascicoli giudiziari avvenuto nel 1960, come pure la colpevole inerzia giudiziaria che si è, di fatto, verificata negli anni successivi, ha costituito probabilmente una delle più grandi ingiustizie avvenute in Italia dal dopoguerra a oggi».

Un’ingiustizia destinata a non finire mai. Perché di quelle sentenze la Germania non ha consentito l’esecuzione e oggi uno solo degli ergastolani condannati dai tribunali italiani è ancora in vita. Libero.

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