Ladri d’Italia, gli evasori e la lobby che li protegge

Nel centrodestra sta lo zoccolo duro schierato in difesa del contribuente infedele Il blocco sociale (commercianti, artigiani, professionisti) vale 10-12 milioni di voti
Di Stefano Livadiotti

Già autore d’inchieste sul sindacato, sui magistrati, sul Vaticano, Stefano Livadiotti, firma de l’Espresso, esperto di politica e di economia, pubblica ora, per Bompiani, Ladri. Gli evasori e i politici che li proteggono. Lo stesso Livadiotti ne sintetizza qui, per i lettori, il contenuto.

di STEFANO LIVADIOTTI

Per un intero anno abbiamo assistito a un penoso balletto sull'Imu: come e dove trovare meno di 4 miliardi per cancellarla. L'evasione fiscale, che è il vero cancro dell'economia italiana, vale quasi 50 volte di più: 180 miliardi, un quinto di quella che si registra nell'intera Europa. Del resto, se non ci fosse una gigantesca evasione non si spiegherebbe come nel 2009 gli italiani abbiano potuto spendere 918 miliardi dopo averne dichiarati 783, lordi per giunta. Un vero miracolo.

Con gli strumenti di cui dispone, 300 banche dati collegate tra loro, il fisco potrebbe stanare subito gli evasori, punendoli in maniera esemplare e costringendoli a restituire sull'unghia quanto hanno rubato alla collettività. In questo modo sarebbe in grado di abbassare la pressione fiscale sui contribuenti onesti o che non possono comunque evadere perché il prelievo lo subiscono direttamente in busta paga, come nel caso dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, che oggi danno l'82 per cento del gettito fiscale. Che le cose stiano così, che cioè il fisco sappia esattamente dove si annida l'evasione, lo ha indirettamente ammesso lo stesso Attilio Befera, il grande capo dell'Agenzia delle Entrate e di Equitalia, il suo braccio armato per la riscossione, quando ha denunciato l'esistenza di quattro milioni di nuclei familiari, un quinto del totale, che consumano più di quanto dichiarino di guadagnare. Perché non vengono convocati negli uffici dell'amministrazione per fornire chiarimenti? Il saggio Ladri. Gli evasori e i politici che li proteggono, appena giunto in libreria (Bompiani, 237 pagine, 16,50 euro), spiega perché.

Basta passare in rassegna le leggi che dovrebbero combattere l'evasione per capire che in Italia la lotta a un fenomeno senza pari in altri paesi è solo una farsa. Il sistema è congegnato proprio per consentire ai contribuenti infedeli di non rischiare nulla. Perché i ladri di tasse (il libro contiene una classifica degli evasori, professione per professione, con tanto di importi) sono anche elettori. Valgono qualcosa come dieci-dodici milioni di voti. E nelle loro scelte politiche si mostrano compatti come nessun'altra categoria. Con il venir meno delle ideologie e l'affievolirsi del fattore religioso il voto della gran parte degli italiani, soprattutto delle due ali estreme della società (la classe operaia e la borghesia) è diventato sempre più erratico. E il fenomeno si è accentuato dopo Tangentopoli. Al contrario, commercianti, artigiani, professionisti e piccoli imprenditori hanno preso a muoversi sempre più in blocco. Per questo quella che i politologi chiamano “piccola borghesia urbana” è corteggiatissima e difesa da una straordinaria lobby parlamentare. Che ha il suo zoccolo duro nel centrodestra. Il libro lo dimostra svelando, con nomi e cognomi, chi ha scritto, proposto e votato quelle leggi che lasciano certezza di impunità agli evasori. Gli stessi, guarda caso, che hanno cancellato i provvedimenti che rendevano la vita più difficile a chi è allergico al fisco. Uno studio realizzato in esclusiva per il libro certifica come l'evasione sia sempre salita con i governi di centrodestra e scesa quando a comandare era il centrosinistra.

La lobby che ha fatto gli interessi dei contribuenti infedeli ha puntualmente incassato il suo tornaconto politico. L'analisi dei flussi elettorali dal 1994 in poi dice che il voto dei lavoratori autonomi, il cui tasso di evasione è pari al 56 per cento, è sempre stato alla base dei successi di Berlusconi. Tutto questo fino al 2013. Quando i ladri di tasse si sono vendicati del Cavaliere per l'appoggio fornito al governo Monti e alla sua politica di austerità, basata per due terzi sull'inasprimento fiscale, e sono passati armi e bagagli con il comico populista Beppe Grillo, che in campagna elettorale aveva attaccato come un forsennato il nostro sistema fiscale.

Tutto ciò spiega come sia possibile che il fisco italiano abbia un credito verso i contribuenti di 807 miliardi (in tredici anni ne ha recuperati solo 69). Che il 27 per cento dei contribuenti non paghi nulla. Che 518 soggetti risultino possessori di jet privati pur dichiarando meno di 20.000 euro di reddito l'anno. Che il catasto abbia improvvisamente scovato 350.000 case fantasma, inesistenti nei suoi archivi. Che secondo un confronto tra il numero dei decessi e i bilanci delle aziende di pompe funebri due italiani su tre di quelli che passano a miglior vita coltivino la bizzarra abitudine di seppellirsi da soli. Che in base ai calcoli dell'ex governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, in 34 anni si siano stati varati 32 condoni.

Il libro rivela inoltre che, scandalo nello scandalo, la casta della politica ha concesso un formidabile privilegio fiscale ai suoi rappresentanti in parlamento. L'indignazione dei cittadini per i costi della politica si è finora concentrata sul trattamento economico e pensionistico degli onorevoli, ma quello fiscale è ancora più vergognoso. Se un comune mortale arrivasse a guadagnare quanto un deputato (235.615 euro) sopporterebbe un'aliquota media del 39,4 per cento. Quella di Lorsignori è del 18,7.

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