La voglia di libertà della Primavera araba: arriva a Udine Essam la voce della rivoluzione
Il cantautore egiziano che vive in esilio sarà al Teatro San Giorgio. Nelle sue canzoni le aspettative e le speranze di un popolo intero

Ramy Essam è un cantautore egiziano. È stato protagonista di quella fiammata di voglia di libertà che incendiò l il mondo arabo una decina di anni fa passata alla storia come “primavera araba”. Nel 2011 Ramy Essam era in piazza Tahrir al Cairo a protestare contro l’uccisione di Khalid Said, colpevole solo di aver chiesto ai due poliziotti che lo avevano fermato i motivi della perquisizione. E a chiedere la destituzione del presidente Mubarak. Da allora Ramy è conosciuto come la voce della rivoluzione, ma dal 2014 è costretto a farla la sua rivoluzione all’estero, vive in esilio e non può mettere piede in Egitto perché su di lui pende un mandato di cattura per terrorismo.
La sua storia con le domande che ne conseguono su cosa significhi Stato, Giustizia, Legalità, Potere, Carcere, Tortura, Informazione sono al centro dell’ultimo lavoro di Babilonia Teatri, “Ramy the voice of Revolution in scena al Teatro San Giorgio di Udine oggi, venerdì 23 febbraio alle 21 per la stagione di Teatro Contatto del Css. Si tratta di un concerto spettacolo in cui attraverso le canzoni di Ramy e le riflessioni di Valeria Raimondi e Enrico Castellani, fondatori e anime di Babilonia Teatri e presenti sul palco, si viene coinvolti in una vicenda della quale, una volta passata perché violentemente repressa l’ondata rivoluzionaria delle manifestazioni di piazza, poco o niente si sa.
Lo spettacolo si apre infatti con una considerazione/domanda: perché di stragi che accadono in giro per il mondo a interessarci è solo il numero di italiani morti, come se tutti gli altri non avessero alcuna importanza? È così che la morte di un italiano in Egitto ci ha aperto gli occhi su un paese con il quale intratteniamo stretti rapporti economici e politici, che di fatto è una dittatura feroce. E le risposte arrivano dalle canzoni di uno che quel paese e le sue disumane storture conosce e ha subito.
Così le canzoni di Ramy raccontano i giorni della rivoluzione, le aspettative le speranze di un popolo intero, le sofferenze di chi patisce le violenze del potere-davvero commovente in questo senso la canzone Solitudine, dedicata a Shady Habash, un poeta amico di Ramy morto in carcere abbandonato da tutti. E poi ci sono anche canzoni che irridono il potere e tradiscono quella voglia di sorridere, di leggerezza a mitigare il senso profondo di frustrazione se non impotenza generato dalla repressione di ben quattro regimi, tutti più o meno dittatoriali che si sono susseguiti in Egitto dal 2011 a oggi.
C’è nello spettacolo la forza e l’intensità di una testimonianza autentica, «perché, come dice Castellani, sin da quando abbiamo iniziato a fare teatro abbiamo sempre cercato una via verso l’autenticità, inventando una lingua per uscire da qualsiasi tipo di interpretazione, una lingua che parla direttamente al pubblico perché riguarda direttamente me. Come nel caso di Ramy in cui interprete e protagonista dei fatti narrati convivono nella stessa persona e il loro stare sul palcoscenico si legittima nel bisogno di raccontare».
«Un bisogno – ancora Castellani – che si legittima anche nel fatto che spesso poco o nulla si sa. Ad esempio di cosa era prima l’Egitto, di cosa è successo in questi dieci anni, di come potrà evolversi la situazione visto anche il fatto che il nostro paese intrattiene legami politici e interessi economici molto forti, che, come si vede, vanno ben al di là del rispetto dei diritti umani così negati e costantemente violati dal regime egiziano». E non a caso lo spettacolo ha il valore e l’urgenza di un gesto politico, senza essere mai declamatorio o didascalico, sgorgando il valore e il peso di una storia tragica di soprusi e ingiustizie come della profonda nostalgia e malinconia di chi è costretto all’esilio, dalla viva voce di chi le ha vissute e rese in musica, riscattandole nella poesia e nella necessità di comunicarle. Anche nel bisogno di non cedere alla rassegnazione, ritrovando, magari nel teatro, quel desiderio di continuare a combattere, in continuità con i giorni luminosi e tragici della primavera araba. Qui semplicemente ma molto efficacemente evocati dalle torce che nel suggestivo finale imbracciano in un silenzio gravido di sensi i quattro protagonisti, Ramy Essam, Amani Sadat, che traduce i brevi monologhi di Ramy, Castellani e Raimondi che con i loro interventi costituiscono una sorta di cornice riflessiva entro la quale si muove la musica di Ramy.
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