La transizione bulgara in un mosaico di storie, fra squallore e dignità

Arriva nelle librerie “Circo Bulgaria” di Dejan Enev: una raccolta di 62 racconti intrisi di umorismo e folklore

Fabiana Dallavalle
La copertina del libro “Circo Bulgaria” di Dejan Enev
La copertina del libro “Circo Bulgaria” di Dejan Enev

UDINE. C’è un vecchio leone con gli occhi gialli dentro a una vecchia roulotte, in cui si legge ancora “Circo statale” e a cui qualcuno ha aggiunto “Bulgaria” con la vernice e poi ci sono dei soldati che mettono piccoli libri dentro ai pantaloni per superare indenni la notte e maestre “alte e rigide come campanili” che prendono i temi di un bambino e li fanno girare per leggerli in tutte le classi, probabilmente cambiando la vita di quel bambino per sempre e molto alcool, whisky, cognac e altri distillati e liquori, caserme, ospedali e obitori e “gerani con gli occhi rossi”.

Che strano e bellissimo libro è Circo Bulgaria, raccolta di sessantadue racconti di Dejan Enev, già apparso in inglese e ora appena pubblicato nella collana Radar da Bottega Errante Edizioni e tradotto da Giorgia Spadoni.

A tratti, Circo Bulgaria sembra una lettura per bambini, piena com’è di immagini, parole immaginifiche e animali– umanizzati: «I piccioni mi seguivano con gli occhi. La mamma sbucciava un’arancia dopo l’altra e le disponeva sopra un giornale» e ancora «al giardino zoologico di Sofia portarono una strana creatura. In altezza non superava un bambino di dieci anni, sul muso aveva un’espressione molto intelligente, i suoi occhi erano caldi e marroni e il corpo era ricoperto di una soffice pelliccia», spesso è un libro poetico, ma soprattutto è un mosaico di storie fieramente ironiche, in cui malinconia e miseria, squallore e dignità, tristezza e mitezza sono molto più che sentimenti da attribuire a questo o a quel personaggio ma persone in carne e ossa che camminano dentro a città come Sofia o vanno a spasso sul monte Vitoša, nei paesi di Kurilo, di Mali Dren e di Staro Selo, sui sentieri attorno al Monastero di Rila, nei piccoli centri abitati e disabitati.

Episodi, per raccontare cosa accada davvero a una popolazione, quella bulgara, in questo caso, nel momento di passaggio dal regime autoritario a Repubblica Democratica, racconti brevi, a volte brevissimi, che riescono sempre ad agganciare il lettore e a fargli desiderare che si aprano nuove strade narrative. Evev, giustamente considerato uno degli scrittori contemporanei più premiati e apprezzati in Bulgaria, ci porta dentro atmosfere ricche di dettagli e particolari.

Scrive di se stesso «non so cosa sia un saggio», ma sa esattamente cosa renda l’esperienza della lettura e della letteratura qualcosa di unico e irripetibile: saper dosare gli elementi folkloristici – culinari come il kozunak – dolce pasquale tipico – del racconto La mia Pasqua, facendoli diventare qualcosa di commovente perché ha a che fare con il mondo perduto dell’infanzia, intrecciare gli elementi della tradizione e della propria cultura d’appartenenza in modo talmente sapiente da renderli universali e infine misurarsi con il mistero della vita e della morte, affidando i propri ragionamenti a una vecchia e molto saggia zia, una di quelle donne che tutti vorremmo avere accanto, prima o poi.

In Obitorio, il racconto più lungo e struggente della raccolta, scrive: «Le persone sono una roba curiosa», disse zia Ani. «Hanno così tanta paura della morte. E soffrono così tanto per i loro morti. Ma anche la morte è parte della vita, la parte più lunga, Semplicemente apri la porta e passi di là. Ma così come un uccellino non può dire all’uomo cos’è il volo, neanche i morti possono raccontarci le loro esperienze».

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