La sacralità della vita umana negli scatti di Ciol, De Marco e Vrizzi
Ai Colonos le immagini realizzate dai tre fotografi. L’esposizione inserita nel programma di Avostanis

Dove sta la sacralità? Dobbiamo alzare gli occhi al cielo per trovarla? Cercarla nel divino? O forse è a misura d’uomo, nel tangibile, in un campo arato, nel seno di una madre, in una discarica di residui di vita, in un nome di donna più che di santa?
“La sacralitât dal uman - La sacralità dell’umano” è il titolo della mostra che sarà inaugurata sabato 5 agosto ai Colonos di Villacaccia per la rassegna “Avostanis”.
Tre percorsi per tre generazioni di artisti, nel tentativo fecondo di rispondere alle domande generate dal “sacro”. Immagini analogiche e digitali, e un’installazione video.
Elio Ciol, Danilo De Marco e Debora Vrizzi: tre poetiche e stilistiche diverse, a raccontare il confine tra terra e cielo che si dissolve nel mistero della vita.
Per il maestro Ciol, il sacro sta nel quotidiano, nelle cose più semplici, nella rivelazione della luce, nei contrasti da essa generati. Sta tra terra e cielo. Terra smossa, arata, lavorata dall’uomo o coperta di neve a preservarla.
Cieli attraversati da nubi minacciose o festose, da nebbie che proteggono, custodi del tempo, misteriose, in cui cercare il senso o un dio, perdersi e ritrovarsi.
Il sacro sta forse anche nella linea dell’orizzonte, verso cui fugge lo sguardo umano, là dove finito e infinito s’incontrano. Sta nel profilo di una chiesetta o nel volto di una basilica, nella nodosità di un tronco di gelso e nella nodosità della vita.
Le fotografie sono state scattate in Friuli e ad Assisi. Due sono state realizzate per “Gli ultimi” (‘63), film di Vito Pandolfi e David Maria Turoldo, come ricorda Angelo Bertani nel catalogo che accompagna la mostra.
Il critico d’arte scrive, a proposito di Ciol: «Essenzialità morale prima ancora che formale» e «armonia che non è semplicemente un dato estetico quanto piuttosto etico», in cui «la bellezza comunque non è un fine, è un legame, un senso profondo nell’esistere».
De Marco ci mostra il sacro nel legame universale tra madre e figlio, figure che travalicano l’iconografia cristiana prendendo lineamenti inediti. Madonne nere o orientali, messicane o ugandesi, fiere nella loro maternità.
Figli della sopravvivenza, disperatamente attaccati al seno, alla vita. Sangue del parto mutato in latte. Icone viventi, in cui la sacralità è data dall’indissolubilità del legame.
Non Madonna col Bambino distinti, ma un’unica figura, come usciti da una stessa pietra scolpita, scura e orgogliosa, a illuminare il senso di una sacralità che non va sotto il nome di una religione ma sotto il nome di “umanità”. Sguardi che ci guardano.
Gian Paolo Gri sostiene che gli scatti di De Marco «prendono l’iniziativa, e a guardarti sono loro». Bertani definisce «resistenti» le madri fotografate e «civile» la religione raccontata dalle immagini del «reporter e giornalista di parte... dalla parte di coloro che sono minacciati e violati dalle varie forme di potere».
La sacralità non sta nel nome delle religioni, piuttosto nei nomi di donna: Adele, Angela, Lucia, Maria, Elena, Giulia, Giovanna. Così si chiamano le immagini della serie “Out of Order” dell’artista e direttrice della fotografia italiana Debora Vrizzi che presenterà ai Colonos il video e alcuni scatti del progetto ispirato al libro “Malacarne” di Annacarla Valeriano.
Il sacro può forse stare tra le mura di un ospedale psichiatrico o in carcere? Tra i residui di vita di una discarica o in una miniera? Nelle parti cupe dell’interiorità? Sacre sono le donne relegate dall’autoritarismo e dal maschilismo? Sacra è la norma o la libertà?
Bertani scrive della «sacralità del diritto e delle convenzioni sociali» mostrando il «lato ambivalente, positivo e negativo, del sacro».
La mostra, a cura di Angelo Bertani, ideata e coordinata da Federico Rossi con la collaborazione di Michele Bazzana, sarà visitabile fino al 10 settembre dalle 19.30 alle 23. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto