La riscoperta di un’epoca nel quartiere-giardino di via Gorizia a Udine

Il progetto del geometra Vittorio Fattori risale agli anni ’20. Un complesso di palazzine tra i borghi di Chiavris e Planis

Renato Bosa e Lucia Stefanelli

Nella zona nord-est di Udine si trova un piccolo esempio di quartiere-giardino, che ricorda realizzazioni più estese e più note di altre città italiane ed europee: si tratta di un complesso di palazzine circondate da spazi verdi, che occupa l’isolato delimitato da via Gorizia, via Bernardinis, via Isonzo e via Montenero.

Il complesso, realizzato tra il 1922 e il 1923, sancisce l’avvio del neonato Istituto Autonomo Case Popolari di Udine, fondato per regolamentare e promuovere in forma organica l’edilizia popolare, fino ad allora oggetto di sporadiche iniziative a carattere prevalentemente umanitario.

La zona prescelta faceva parte di una vasta estensione di spazi incolti, compresi tra le strade che portavano ai borghi di Chiavris e di Planis in un’area considerata come spazio destinato alla nascita dei primi quartieri residenziali, sia borghesi che operai.

Il progetto fu affidato al giovane geometra udinese, Vittorio Fattori che si ispirò a modelli proposti dai manuali per i quartieri operai realizzati sia in Italia che all’estero, spesso nelle vicinanze di grandi industrie, come nel caso del quartiere di Panzano (Monfalcone).

La particolarità del quartiere-giardino di Via Gorizia è data dal fatto che si rifà ai modelli più ambiziosi, in quanto non prevede solamente una sequenza di edifici fronte strada o una ripetizione di blocchi in uno spazio vuoto, ma cerca piuttosto di creare un piccolo isolato armonico ed equilibrato nel suo insieme, con tipologie di edifici di caratteristiche e dimensioni leggermente diversificate.

Per questo ancora oggi l’insieme evoca la sensazione di trovarsi in un piccolo borgo paesano, grazie anche all’impianto delle due strade arcuate che si sfiorano nella zona centrale, andando a formare la cosiddetta “piazzetta”.

Le “casette popolari” previste da Vittorio Fattori comprendevano edifici che avevano dimensioni e struttura diversificata, poiché comprendevano case bifamiliari con appartamenti disposti su due livelli e ingresso autonomo, palazzine con ingresso e scalinata comune e appartamenti su un unico livello, con un numero variabile di locali. In realtà il modello di riferimento è il villino borghese, sia pure semplificato, in cui la distribuzione funzionale dei locali risponde a esigenze pratiche determinate anche da nuovi stili di vita.

Le finiture decorative esterne non sono concepite come mero abbellimento dell’architettura, ma servono a sottolineare la struttura della forma architettonica formando un tutt’uno con l’insieme delle aperture (porte e finestre sembrano esse stesse parte dell’apparato decorativo), dei poggioli, dei porticati e degli sporti di linda.

Tra i materiali impiegati la pietra artificiale, utilizzata soprattutto per architravi di porte e finestre mensole di poggioli e sporti di linda, una specialità dell’impresa D’Aronco a cui venne assegnato l’appalto per la costruzione.

Accanto all’intonaco, lavorato a rilievo per formare disegni, per lo più geometrici, o scanalato all’interno di pannelli, troviamo anche la tecnica del graffito. Un ruolo non secondario rivestono le inferriate in ferro battuto impiegate nelle balaustre dei poggioli e nella protezione di porte e finestre (integrate nel serramento) ai piani terra e nelle ringhiere delle scale interne.

Secondo il progetto di Fattori tutte le palazzine, articolate su due piani, erano circondate da un terreno adibito a giardino o ad orto, suddiviso in modo che sia le villette, che gli appartamenti, fossero dotati di un proprio spazio verde.

Ci troviamo dunque di fronte a un patrimonio di indubbio valore storico, urbanistico, architettonico, e anche sociale, che sta perdendo progressivamente alcune delle caratteristiche che lo rendono unico tra gli esempi di edilizia popolare del XX secolo a Udine; patrimonio che si può ancora salvare da ulteriori perdite di significato più che di valore.

La, sia pur parziale, “privatizzazione” del quartiere ha comportato che nelle trasformazioni degli edifici, soprattutto nelle parti esterne, ci sia stata una disomogenea modalità di intervento - cancellazione di apparati decorativi, sostituzione di elementi di finitura come cancellate, muri di cinta.

Le stesse parti comuni come il verde di quartiere, pur conferendo ancora un’atmosfera di tranquillità e di isolamento dal traffico, non vengono adeguatamente mantenute e anzi, alcuni anni fa, si è provveduto ad una drastica riduzione delle alberature storiche mentre quelle conservate (soprattutto i pini marittimi) non sono tutte in buone condizioni.

Anche la cancellazione o l’alterazione di particolari ritenuti insignificanti, come un capitello, un’inferriata, un graffito, modifica sensibilmente l’atmosfera del quartiere, che è data dall’insieme di tutti questi particolari e ne determina, sostanzialmente, la sua identità.

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