La nuova Gerusalemme: cronaca gotica in 5 storie

“La Nuova Gerusalemme” è una città simbolica, rappresenta il gruppo di seguaci di Gesù che vanno in cielo per governare insieme a lui nel Regno di Dio. Ne parla la Bibbia, che nel libro dell’Apocalisse la identifica come la sposa di Cristo. Lontana, eppure, potentemente evocativa quanto la Gerusalemme distopica che Borislav Pekić colloca nel 2999.
Il libro di culto della letteratura jugoslava, scritto dall’autore serbo nel 1988, è uscito nelle librerie italiane per Bottega Errante con la traduzione di Enrico Davanzo e la postfazione di Persida Lazarević Di Giacomo (348 pagine, 18 euro).
La cronaca gotica che si sviluppa nelle cinque storie si espande nello spazio e nel tempo, partendo dalla Grecia medievale tormentata dalla peste per approdare alla provincia inglese accecata dalla superstizione e dal fanatismo religioso, da una Parigi stremata dal Terrore giacobino a una Belgrado di fine anni Ottanta. Infine si proietta in un enigmatico futuro.
Una narrazione densa di significati, espliciti e velati, quella che lo scrittore serbo di origine montenegrina (Podgorica 1930 - Londra 1992) incarcerato in gioventù per la sua opposizione al regime di Tito, suddivide in cinque racconti strettamente legati a livello intratestuale alle altre sue opere. Rappresentano una sorta di compendio dei vari aspetti tematici e delle varie possibilità narrative offerte da Pekić: i temi, lo stile, la semantica.
La terra peksiana è un suolo fertile sul quale il progetto narrativo si origina dal mito (di ascendenza ora classica ora biblica). E dal substrato mitologico scaturiscono significati indipendenti e contestuali che si incontrano, si compensano, si diversificano e si moltiplicano.
La raccolta si compone di cinque racconti, strettamente correlati, scanditi nel tempo e nello spazio.
Il primo testo, intitolato Megalos Mastoras i njegovo delo, è ambientato in Grecia e proietta il lettore nel bel mezzo del Trecento, il “secolo nero” del Medioevo, travagliato dalla “Morte nera”, la crudele pestilenza che annientò un terzo della popolazione del Vecchio continente. Lo scultore Kir Angelos, che ha ricevuto l’incarico da uno straniero, – un “Nero signore” – se ne sta chiuso nel suo studio e, mentre la morte per mano della peste più sinistra che mai raccoglie le sue vittime, lavora alla sua opera più bella, l’ultima. Fino a fondersi con essa.
Il secondo racconto ci proietta nell’Inghilterra del 1649: l’esorcista inglese John Blacksmith, esperto nella caccia alle streghe, non esita a riconoscere quella natura malvagia nella propria madre e a mandarla a morte.
Danza con la morte anche il cittadino Pompier che nella Francia del 1793 mangia a propria discrezione le sentenze di condanna alla ghigliottina, graziando a proprio piacimento le misere vite sulle quali esercita il suo potere.
Ci porta nella Belgrado del 1987 il quarto racconto, la storia di un poeta amico dell’autore che affronta la morte attraverso la profezia racchiusa in una lirica.
Infine il viaggio in un futuro che attraverso una ricerca archeologica scopre un Gulag e si esprime sulla nostra civiltà. Una civiltà artificiale, sempre meno connessa alla natura e divenuta nelle sue ultime fasi, negazione di ogni ideale umano.
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