La gigantesca opera dell’uomo “di ferro” temuto dalla mafia

L’opera di Cesare Mori in Friuli e in Istria è stata gigantesca, considerata anche la concomitanza temporale delle due grandi imprese realizzate, dei mezzi operativi a disposizione, della dimensione...

L’opera di Cesare Mori in Friuli e in Istria è stata gigantesca, considerata anche la concomitanza temporale delle due grandi imprese realizzate, dei mezzi operativi a disposizione, della dimensione dei problemi da affrontare e da risolvere, dell’ampiezza dei territori di intervento (Bassa Friulana: 70.460 ettari, 35 comuni; Istria 363.948 ettari, 19 comuni).

Uomo dalla personalità complessa e rude, personaggio inviso agli uomini del regime poiché sordo alla “voce del padrone” e poco propenso ai compromessi, temuto da mafiosi e omertosi, Cesare Mori rappresenta un punto di riferimento preciso particolarmente per quanti hanno a cuore le sorti di quella realtà sociale ed economica, talvolta negletta, che è il mondo dei campi e della bonifica ma non solo.

Un po’ di biografia dell’uomo e del servitore dello Stato.

Nasce a Torino nel 1872 e viene subito affidato dalla madre alla ruota del brefotrofio di Pavia, ove viene ospitato per sette anni come figlio di N.N. (generalità provvisoria Primo Nerbi). Nel 1879 viene adottato da una coppia senza figli, Felice Mori (ingegnere) e Rachele Pizzamiglio. Nel 1889 entra nella Regia Accademia Militare di Torino e nel 1895, promosso tenente, viene inviato a Taranto, ove guadagna una medaglia di bronzo al Valor Militare. Nel 1896 sposa Angelina Salvi e lascia il Regio Esercito. Nel 1898 delegato di Polizia di Stato, con destinazione Ravenna, ove si distingue in diverse azioni anticrimine. Nel 1903, a 31 anni, è commissario. L’anno dopo è inviato in Sicilia, a Castelvetrano. Nel 1915 è vicequestore a Firenze, nel 1917 questore a Torino. Viene decorato con la medaglia d’argento al Valor Militare. Nel 1920 è prefetto di Bologna, nel 1922 di Bari. Nel 1929 è senatore del Regno e messo a riposo dall’attività operativa. In Sicilia si è fermato dal 1904 al 1925 a Castelvetrano e Trapanese, dal 1915 al 1917 a Trapani, Caltanissetta, Agrigento-Grigenti. Richiamato in Sicilia alla fine della primavera del 1924 direttamente dal ministero dell’Interno, Cesare Mori viene nominato prefetto e spedito a Trapani, dove è ben nota la sua fama di uomo tutto d’un pezzo. Vi rimane poco più di un anno. Anche nella provincia trapanese l’intervento di Mori produce effetti positivi, al punto da indurre Benito Mussolini a sceglierlo come prefetto di Palermo. Insediatosi ufficialmente il 20 ottobre del 1925, il “prefetto di ferro” assume poteri straordinari e la competenza sulla Sicilia intera, per provare a sconfiggere la mafia sull’isola, in quanto il Duce si era reso conto che in quella terra non era il fascismo a comandare.

Il lavoro a Palermo dura fino al 1929: in quattro anni, viene messa in atto una rigida repressione verso la mafia e la malavita locale, andando a colpire anche signorotti locali e bande di briganti con metodi decisamente duri e repressivi. Mori, comunque, ha l’appoggio esplicito di Mussolini, anche perché i risultati da lui ottenuti sono positivi. Luigi Giampietro (procuratore generale di Palermo) e Mori riescono quindi a contrastare esponenti di secondo piano della malavita, mentre la cosiddetta “Cupola”, costituita da politici, latifondisti e notabili, rimane intonsa. Raggiunto il “livello politico”, però, il 23 giugno 1929 arriva da Roma un telegramma di Mussolini per Mori: «Con regio decreto in corso di registrazione V.E. è stata collocata a riposo per anzianità di servizio a decorrere dal 16 luglio. La ringrazio dei lunghi servizi resi al Paese». A conclusione di questa parte una citazione di Cesare Mori da “pensieri segreti”: «La mafia non carezzata dell’Autorità, anzi bersagliata da essa, è simile a una pianta priva di luce: intristisce e muore». (m.c.)

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